Renzo all’osteria della luna piena
Dopo l’assalto ai forni ed al palazzo del vicario, portato via in carrozza dal cancelliere Ferrer, la folla inizia a disperdersi.
Il sole è ormai tramontato e Renzo, rallegrato per aver aiutato il procedere della carrozza, ora lontana, prosegue un po’ con la folla per poi uscirne e respirare liberamente.
Stanco e con un’agitazione di sentimenti in cuore e in testa, sente il bisogno di mangiare e riposare. Ormai è troppo tardi per andare al convento.
Camminando si avvicina ad un crocchio di persone che parlano e decide di dare il suo parere sui fatti accaduti. La gente inizia a radunarsi per ascoltarlo.
Nel suo discorso parla di giustizia, bricconerie, di gente che dovrebbe far applicare la legge, ma non lo fa.
Al termine qualcuno lo applaude, qualcun altro lo critica, ma alla fine si danno arrivederci all’indomani in piazza del duomo.
Renzo quindi chiede a chi è rimasto se qualcuno potesse indicargli un posto dove poter mangiare e dormire. Un giovane che era stato finora in silenzio si offre di accompagnarlo dicendo che il padrone dell’osteria è un suo amico, oltre che galantuomo.
I due si incamminano verso l’osteria della luna piena. Durante il tragitto il giovane pone diverse domande a Renzo. Scopriremo che questo giovane è un poliziotto.
Vediamo cosa succede.
11 novembre 1628
La radunata si sciolse; e Renzo, dopo molte strette di mani sconosciute, s’avviò con lo sconosciuto, ringraziandolo della sua cortesia.
“Di che cosa?” diceva colui: “una mano lava l’altra, e tutt’e due lavano il viso. Non siamo obbligati a far servizio al prossimo?” E camminando, faceva a Renzo, in aria di discorso, ora una, ora un’altra domanda. “Non per sapere i fatti vostri; ma voi mi parete molto stracco: da che paese venite?”
“Vengo,” rispose Renzo, “fino, fino da Lecco.”
– Fin da Lecco? Di Lecco siete?
“Di Lecco… cioè del territorio.”
“Povero giovine! per quanto ho potuto intendere da’ vostri discorsi, ve n’hanno fatte delle grosse.”
“ Eh! caro il mio galantuomo! ho dovuto parlare con un po’ di politica, per non dire in pubblico i fatti miei; ma… basta, qualche giorno si saprà; e allora… Ma qui vedo un’insegna d’osteria; e, in fede mia, non ho voglia d’andar più lontano. ”
Arrivati ad un’osteria, Renzo si ferma desideroso di rifocillarsi ed invita il giovane a bere un bicchiere. Quest’ultimo accetta ed entra nell’osteria, muovendosi come uno che è di casa.
Entrano e si siedono. L’oste, seduto su una panca, in mezzo al chiasso, è intento a vedere tutto ciò che accade e si accorge del giovane entrato con Renzo e non ne è contento.
Ma, come dice il narratore, la sua faccia è imperscrutabile e non lascia intravedere le sue preoccupazioni.
Chiede agli ospiti cosa desiderano e così Renzo inizia sì a mangiare, ma anche a bere.
Il giovane poi chiede all’oste di preparare un letto per Renzo, che ha intenzione di riposare.
L’oste chiede il nome a Renzo, ma costui, già sbronzo, inizia a chiedere motivazioni della richiesta.
L’oste, senza rispondere, posò sulla tavola il calamaio e la carta; poi appoggiò sulla tavola medesima il braccio sinistro e il gomito destro; e, con la penna in aria, e il viso alzato verso Renzo, gli disse: “ fatemi il piacere di dirmi il vostro nome, cognome e patria. ”
“ Cosa? ” disse Renzo: “ cosa c’entrano codeste storie col letto? ”
“ Io fo il mio dovere, ” disse l’oste, guardando in viso alla guida: “ noi siamo obbligati a render conto di tutte le persone che vengono a alloggiar da noi: nome e cognome, e di che nazione sarà, a che negozio viene, se ha seco armi… quanto tempo ha di fermarsi in questa città… Son parole della grida. ”
Prima di rispondere, Renzo votò un altro bicchiere: era il terzo; e d’ora in poi ho paura che non li potremo più contare. Poi disse: “ ah ah! avete la grida! E io fo conto d’esser dottor di legge; e allora so subito che caso si fa delle gride. ”
“ Dico davvero, ” disse l’oste, sempre guardando il muto compagno di Renzo; e, andato di nuovo al banco, ne levò dalla cassetta un gran foglio, un proprio esemplare della grida; e venne a spiegarlo davanti agli occhi di Renzo.
I Promessi Sposi, Cap. XIV
Renzo dice di conoscere bene quel foglio delle grida e lo stemma, inoltre dice all’oste di non avere alcuna intenzione di dirgli cose, se proprio si deve confessare lo fa da un frate.
(…)
“se un furfantone volesse saper dov’io sono, per farmi qualche brutto tiro, domando io se questa faccia si moverebbe per aiutarmi. Devo dire i fatti miei! Anche questa è nuova. Son venuto a Milano per confessarmi, supponiamo; ma voglio confessarmi da un padre cappuccino, per modo di dire, e non da un oste.”L’oste stava zitto, e seguitava a guardar la guida, la quale non faceva dimostrazione di sorte veruna. Renzo, ci dispiace il dirlo, tracannò un altro bicchiere, e proseguì: “ti porterò una ragione, il mio caro oste, che ti capaciterà. Se le gride che parlan bene, in favore de’ buoni cristiani, non contano; tanto meno devon contare quelle che parlan male. Dunque leva tutti quest’imbrogli, e porta in vece un altro fiasco; perchè questo è fesso.” Così dicendo, lo percosse leggermente con le nocca, e soggiunse: “senti, senti, oste, come crocchia.”
Anche questa volta, Renzo aveva, a poco a poco, attirata l’attenzione di quelli che gli stavan d’intorno: e anche questa volta, fu applaudito dal suo uditorio.
I Promessi Sposi, Cap. XIV
L’oste ha solo compiuto il suo dovere, ma Renzo è troppo sbronzo, così decidono di portarlo a letto.
Il giovane desidera allo stesso modo andare a casa a dormire ma vuole carpire altre informazioni da Renzo e allora intavola un discorso sul pane, che porta Renzo a rivelare il suo nome e cognome.
“ Ecco come farei. Una meta onesta, che tutti ci potessero campare. E poi, distribuire il pane in ragione delle bocche: perchè c’è degl’ingordi indiscreti, che vorrebbero tutto per loro, e fanno a ruffa raffa, pigliano a buon conto; e poi manca il pane alla povera gente. Dunque dividere il pane. E come si fa? Ecco: dare un bel biglietto a ogni famiglia, in proporzion delle bocche, per andare a prendere il pane dal fornaio. A me, per esempio, dovrebbero rilasciare un biglietto in questa forma: Ambrogio Fusella, di professione spadaio, con moglie e quattro figliuoli, tutti in età da mangiar pane (notate bene): gli si dia pane tanto, e paghi soldi tanti. Ma far le cose giuste, sempre in ragion delle bocche. A voi, per esempio, dovrebbero fare un biglietto per…. il vostro nome? ”
“ Lorenzo Tramaglino, ” disse il giovine; il quale, invaghito del progetto, non fece attenzione ch’era tutto fondato su carta, penna e calamaio; e che, per metterlo in opera, la prima cosa doveva essere di raccogliere i nomi delle persone.
“ Benissimo, ” disse lo sconosciuto: “ ma avete moglie e figliuoli? ”
“ Dovrei bene….. figliuoli no…… troppo presto….. ma la moglie…. se il mondo andasse come dovrebbe andare….. ”
“ Ah siete solo! Dunque abbiate pazienza, ma una porzione più piccola. ”
I Promessi Sposi, Cap. XIV
Renzo vuole continuare a bere ma il giovane alla fine gli augura buona notte e se ne va.
Lui resta lì ancora all’osteria e grazie ai fumi dell’alcol continua a parlare e si rivolge all’oste dicendo che non gli è andata già la faccenda della richiesta del nome.
Comunque sia, quando que’ primi fumi furono saliti alla testa di Renzo, vino e parole continuarono a andare, l’uno in giù e l’altre in su, senza misura nè regola: e, al punto a cui l’abbiam lasciato, stava già come poteva. Si sentiva una gran voglia di parlare: ascoltatori, o almeno uomini presenti che potesse prender per tali, non ne mancava; e, per qualche tempo, anche le parole eran venute via senza farsi pregare, e s’eran lasciate collocare in un certo qual ordine. Ma a poco a poco, quella faccenda di finir le frasi cominciò a divenirgli fieramente difficile.
(…)
“ oste che tu sei! Non posso mandarla giù… quel tiro del nome, cognome e negozio. A un figliuolo par mio…! Non ti sei portato bene. Che soddisfazione, che sugo, che gusto… di mettere in carta un povero figliuolo? Parlo bene, signori? Gli osti dovrebbero tenere dalla parte de’ buoni figliuoli… Senti, senti, oste; ti voglio fare un paragone… per la ragione… Ridono eh? Ho un po’ di brio, sì… ma le ragioni le dico giuste. Dimmi un poco; chi è che ti manda avanti la bottega? I poveri figliuoli, n’è vero? dico bene? Guarda un po’ se que’ signori delle gride vengono mai da te a bere un bicchierino. ”
I Promessi Sposi, Cap. XIV
Renzo diventa lo zimbello di tutta la brigata presente all’osteria, che inizia a punzecchiarlo, fargli domande e prenderlo in giro.
Ma quegli omacci che già avevan cominciato a prendersi spasso dell’eloquenza appassionata e imbrogliata di Renzo, tanto più se ne presero della sua aria compunta; i più vicini dicevano agli altri: guardate; e tutti si voltavano a lui; tanto che divenne lo zimbello della brigata. Non già che tutti fossero nel loro buon senno, o nel loro qual si fosse senno ordinario; ma, per dire il vero, nessuno n’era tanto uscito, quanto il povero Renzo: e per di più era contadino. Si misero, or l’uno or l’altro, a stuzzicarlo con domande sciocche e grossolane, con cerimonie canzonatorie. Renzo, ora dava segno d’averselo per male, ora prendeva la cosa in ischerzo, ora, senza badare a tutte quelle voci, parlava di tutt’altro, ora rispondeva, ora interrogava; sempre a salti, e fuor di proposito.
I Promessi Sposi, Cap. XIV
Immagine di copertina – Illustrazione di Francesco Gonin per I Promessi Sposi, edizione 1840 – Archivio Biblioteca Braidense di Milano
Articolo aggiornato il 8 Giugno 2022 da eccoLecco