I Promessi Sposi
Riassunto Capitolo 14
Dal capitolo 12 (vedi riassunto) stiamo assistendo alle peripezie di Renzo che si trova a Milano: doveva andare da Padre Bonaventura come indicatogli da Padre Cristoforo, ma si trova in parte coinvolto e in parte si coinvolge direttamente nella rivolta del pane.
La folla che imprecava contro il vicario si inizia a calmare dopo l’arrivo di Ferrer che porta via il vicario (leggi riassunto capitolo 13) e tra questi è un attore in prima linea anche il nostro Renzo. Vediamo cosa succede in questo capitolo 14.
“La folla rimasta indietro cominciò a sbandarsi, a diramarsi a destra e a sinistra, per questa e per quella strada.” Crocchi di persone ancora parlano dell’accaduto e si fanno commenti, intanto si fa sera e molti se ne tornano a casa.
E Renzo cosa fa? Ci dice il Manzoni che “fece un po’ di strada con la folla, e n’uscì, alla prima cantonata, per respirare anche lui un po’ liberamente. Fatto ch’ebbe pochi passi al largo, in mezzo all’agitazione di tanti sentimenti, di tante immagini, recenti e confuse, sentì un gran bisogno di mangiare e di riposarsi; e cominciò a guardare in su, da una parte e dall’altra, cercando un’insegna d’osteria; giacchè, per andare al convento de’ cappuccini, era troppo tardi“.
Renzo decide di cercare un’osteria dove rifocillarsi e mentre cammina si imbatte in un gruppo di persone che stanno parlando “di congetture, di disegni, per il giorno dopo” e si introduce nel discorso dicendo -“signori miei! ” (…) “ devo dire anch’io il mio debol parere?“.
Es è così che Renzo inizia un lungo discorso sulla tirannia dei potenti e sulla finta giustizia di chi dovrebbe invece tutelarla ed applicare le leggi e dice che “bisogna andar da Ferrer, e dirgli come stanno le cose” e chiedergli che giustizia venga fatta.
“Renzo aveva parlato tanto di cuore” che in tanto si fermano ad ascoltarlo e lo applaudono e gli prendevano la mano. Datosi arrivederci per l’indomani Renzo chiede se qualcuno possa indicargli un’osteria. Tra i presenti si fa avanti un uomo che si offre di aiutarlo, così Renzo va “con lo sconosciuto” verso l’osteria, e durante il tragitto questo gli pone diverse domande e tra le altre espressamente gli chiede da dove viene e Renzo gli risponde chiaramente – “vengo (…) fino, fino da Lecco“.
Sappiamo che questo “sconosciuto” finge di essere servizievole con Renzo, infatti non si tratta altro che di uno sbirro, che aveva il compito di scovare i capi fazione dei disordini.
E tra una chiacchiera ed un’altra arrivano all’osteria con “l’insegna della luna piena“.
“Il chiasso era grande. Un garzone girava innanzi e indietro, in fretta e in furia (…) l’oste era a seder sur una piccola panza (…) occupato, in apparenza, in certe figure che faceva e disfaceva nella cenere (…) ma in realtà intento a tutto ciò che accadeva intorno a lui”.
Così attento che riconobbe subito lo sbirro e vuole capire se Renzo sia suo compagno o sua vittima. Renzo e lo sconosciuto ordinano da bere e mangiare: vino e stufato, e Renzo tira fuori dalla tasca un pane e lo chiama “il pane della provvidenza!“.
Renzo beve e beve e lo sbirro chiede all’oste di preparargli un letto affinché Renzo potesse dormire lì la notte.
L’oste chiede le generalità a Renzo, ma Renzo non gli risponde e continua a bere, a bere, tanto che i bicchieri non si contano nemmeno più e alla fine rivela di chiamarsi “Renzo Tramaglino“.
Lo sbirro gli chiede anche se ha moglie e figli, avendo ottenuto le informazioni di suo interesse se ne va e lascia Renzo all’osteria.
Interessante come il narratore si inserisca nel racconto per tracciare il profilo di Renzo, che non nomina direttamente, definendolo “un personaggio tanto principale“, che si potrebbe definire il “primo uomo della nostra storia”.
Ecco l’intervento del narratore esterno:
Qui è necessario tutto l’amore, che portiamo alla verità, per farci proseguire fedelmente un racconto di così poco onore a un personaggio tanto principale, si potrebbe quasi dire al primo uomo della nostra storia. Per questa stessa ragione d’imparzialità, dobbiamo però anche avvertire ch’era la prima volta, che a Renzo avvenisse un caso simile: e appunto questo suo non esser uso a stravizi fu cagione in gran parte che il primo gli riuscisse così fatale. Que’ pochi bicchieri che aveva buttati giù da principio, l’uno dietro l’altro, contro il suo solito, parte per quell’arsione che si sentiva, parte per una certa alterazione d’animo, che non gli lasciava far nulla con misura, gli diedero subito alla testa: a un bevitore un po’ esercitato non avrebbero fatto altro che levargli la sete. Su questo il nostro anonimo fa una osservazione, che noi ripeteremo: e conti quel che può contare. Le abitudini temperate e oneste, dice, recano anche questo vantaggio, che, quanto più sono inveterate e radicate in un uomo, tanto più facilmente, appena appena se n’allontani, se ne risente subito; dimodochè se ne ricorda poi per un pezzo; e anche uno sproposito gli serve di scola.
Renzo dice “moltissime parole” “in quella sciagurata sera” e sulla scia di tutto il vino ingerito continua a parlare e conclude dicendo “Viva! giustizia! pane!” e poi il suo pensiero corre a Lucia con “un gran sospiro” e alzando il viso “con due occhi inumiditi e lustri“.
La gente attorno inizia a divertirsi per “l’eloquenza appassionata e imbrogliata di Renzo” e per la “sua aria compunta” e lo prende in giro, stuzzicandolo con domande “sciocche e grossolane” e con “cerimonie canzonatorie“.
Renzo talora se la prende, talora vive il tutto come uno scherzo.
Nel suo stato di “vaneggiamento” però “la buona sorte (…) gli era rimasta come un’attenzione istintiva a scansare i nomi delle persone; dimodochè anche quello che doveva esser più altamente fitto nella sua memoria, non fu proferito: chè troppo ci dispiacerebbe se quel nome, per il quale anche noi sentiamo un po’ d’affetto e di riverenza, fosse stato strascinato per quelle boccacce, fosse divenuto trastullo di quelle lingue sciagurate“.
Ecco che il capitolo quattordici ci conclude con l’intervento del narratore che ci regala l’attenzione fortuita di Renzo nel non nominare Lucia. Se Renzo è sottoposto a degradazione, ciò non avviene per Lucia, verso cui Manzoni nutre “riverenza”, alludendo alla carismaticità della figura.
Articolo aggiornato il 4 Ottobre 2023 da eccoLecco