Renzo nei tumulti a Milano
Assalto alla casa del vicario
Renzo si trova a Milano e in una sola giornata, l’11 novembre 1628, giorno di San Martino, assiste ed è protagonista indiretto od indiretto, ai tumulti della folla per la rivolta del pane.
Dopo l’assalto ai forni, la folla decide di assaltare la casa del Vicario e Renzo, che ha sempre la lettera da consegnare a padre Bonaventura, preso dalla curiosità, decide di seguire la folla, standosene a margine per osservare.
Il vicario si trovava in casa e qualche galantuomo al galoppo si indirizza al palazzo per avvisarlo di quanto sta per accadere. Si barrica in casa, sprangando il portone.
L’urlo della folla è alto: “Il vicario! Il tiranno! L’affamatore! Lo vogliamo! vivo o morto!”.
Renzo, se aveva deciso di osservare, si ritrova invece, nel pieno del tumulto, deliberatamente.
11 novembre 1628
Renzo, questa volta, si trovava nel forte del tumulto, non già portatovi dalla piena, ma cacciatovisi deliberatamente. A quella prima proposta di sangue, aveva sentito il suo rimescolarsi tutto: in quanto al saccheggio, non avrebbe saputo dire se fosse bene o male in quel caso; ma l’idea dell’omicidio gli cagionò un orrore pretto e immediato.
(…)
Chi con ciottoli picchiava su’ chiodi della serratura, per isconficcarla; altri, con pali e scarpelli e martelli, cercavano di lavorar più in regola: altri poi, con pietre, con coltelli spuntati, con chiodi, con bastoni, con l’unghie, non avendo altro, scalcinavano e sgretolavano il muro, e s’ingegnavano di levare i mattoni, e fare una breccia. Quelli che non potevano aiutare, facevan coraggio con gli urli; ma nello stesso tempo, con lo star lì a pigiare, impicciavan di più il lavoro già impicciato dalla gara disordinata de’lavoranti: giacchè, per grazia del cielo, accade talvolta anche nel male quella cosa troppo frequente nel bene, che i fautori più ardenti divengano un impedimento.
I Promessi Sposi, Cap. XIII
Tra la folla un vecchio che invoca la morte del vicario. Renzo interviene dicendo che è una vergogna, che si deve diventare dei boia.
A tali parole proferite dal giovane, la gente insorge tacciandolo di essere un traditore, un servitore del vicario travestito da contadino.
Allora Renzo ammutolisce, diventando piccolo piccolo, quando sente gridare e vede gente che si fa largo portando in spalla una lunga scala.
Ecco… è arrivato il momento buono per Renzo di allontanarsi ed uscire dal tumulto, per andare finalmente da padre Bonaventura.
Ma il narratore ci dice che “un movimento straordinario” si sta propagando per la folla e si sparge sulle bocche dei presenti la parola “Ferrer“.
Una maraviglia, una gioia, una rabbia, un’inclinazione, una ripugnanza, scoppiano per tutto dove arriva quel nome; chi lo grida, chi vuol soffogarlo; chi afferma, chi nega; chi benedice, chi bestemmia.
(…)
“È qui Ferrer! — Non è vero, non è vero! — Sì, sì; viva Ferrer! quello che ha messo il pane a buon mercato. — No, no! — E’ qui, è qui in carrozza. — Cosa importa? che c’entra lui? non vogliamo nessuno! — Ferrer! viva Ferrer! l’amico della povera gente! viene per condurre in prigione il vicario. — No, no: vogliamo far giustizia noi: indietro, indietro! — Sì, sì: Ferrer! venga Ferrer! in prigione il vicario!”
E tutti, alzandosi in punta di piedi, si voltano a guardare da quella parte donde s’annunziava l’inaspettato arrivo. Alzandosi tutti, vedevano nè più nè meno che se fossero stati tutti con le piante in terra; ma tant’è, tutti s’alzavano.
In fatti, all’estremità della folla, dalla parte opposta a quella dove stavano i soldati, era arrivato in carrozza Antonio Ferrer, il gran cancelliere, il quale, rimordendogli probabilmente la coscienza d’essere co’ suoi spropositi e con la sua ostinazione, stato causa, o almeno occasione di quella sommossa, veniva ora a cercar d’acquietarla, e d’impedirne almeno il più terribile e irreparabile effetto: veniva a spender bene una popolarità mal acquistata.
I Promessi Sposi, Cap. XIII
Renzo rimasto lì chiede ad un vicino se questo Ferrer è colui che aiuta a scrivere le grida e chiede conferma che sia un galantuomo, ricevendo riscontro positivo.
Quindi decide che deve andargli incontro ed arrivare vicino alla carrozza.
Non fa bisogno di dire che Renzo fu subito per Ferrer. Volle andargli incontro addirittura: la cosa non era facile; ma con certe sue spinte e gomitate da alpigiano, riuscì a farsi far largo, e a arrivare in prima fila, proprio di fianco alla carrozza.
(…)
Renzo, dico, mise da parte ogni pensiero d’andarsene; e si risolvette d’aiutare Ferrer, e di non abbandonarlo, fin che non fosse ottenuto l’intento. Detto fatto, si mise con gli altri a far far largo; e non era certo de’ meno attivi. Il largo si fece; “venite pure avanti,” diceva più d’uno al cocchiere, ritirandosi o andando a fargli un po’ di strada più innanzi.”
(…)
Ferrer, in mezzo ai saluti che scialacquava al pubblico in massa, ne faceva certi particolari di ringraziamento, con un sorriso d’intelligenza, a quelli che vedeva adoprarsi per lui: e di questi sorrisi ne toccò più d’uno a Renzo, il quale per verità se li meritava, e serviva in quel giorno il gran cancelliere meglio che non avrebbe potuto fare il più bravo de’ suoi segretari. Al giovane montanaro invaghito di quella buona grazia, pareva quasi d’aver fatto amicizia con Antonio Ferrer.
I Promessi Sposi, Cap. XIII
La carrozza con Ferrer arriva finalmente in prossimità del portone del palazzo del Vicario e Renzo è lì pure lui.
Ferrer scende dalla carrozza, tranquillizza la folla ed entra nel palazzo a prendere il Vicario, che fa salire in carrozza con lui e si allontanano dalla piazza e dalla folla.
Renzo, che, facendo un po’ da battistrada, un po’ da scorta, era arrivato con la carrozza, poté collocarsi in una di quelle due frontiere di benevoli, che facevano, nello stesso tempo, ala alla carrozza e argine alle due onde prementi di popolo. E aiutando a rattenerne una con le poderose sue spalle, si trovò anche in un bel posto per poter vedere.
(…)
Ferrer, fermatosi quel momento sul predellino, diede un’occhiata in giro, salutò con un inchino la moltitudine, come da un pulpito, e messa la mano sinistra al petto, gridò: “pane e giustizia;” e franco, diritto, togato, scese in terra, tra l’acclamazioni che andavano alle stelle.
(…)
La porta s’apre; Ferrer esce il primo; l’altro dietro, rannicchiato, attaccato, incollato alla toga salvatrice, come un bambino alla sottana della mamma. Quelli che avevan mantenuta la piazza vota, fanno ora, con un alzar di mani, di cappelli, come una rete, una nuvola, per sottrarre alla vista pericolosa della moltitudine il vicario; il quale entra il primo nella carrozza, e vi si rimpiatta in un angolo. Ferrer sale dopo; lo sportello vien chiuso. La moltitudine vide in confuso, riseppe, indovinò quel ch’era accaduto; e mandò un urlo d’applausi e d’imprecazioni.
I Promessi Sposi, Cap. XIII
Immagine di copertina – Illustrazione di Francesco Gonin per I Promessi Sposi, edizione 1840 – Archivio Biblioteca Braidense di Milano
Articolo aggiornato il 8 Giugno 2022 da eccoLecco