Andate, andate; non sapete quel che vi dite: io non m’impiccio con ragazzi; non voglio sentir discorsi di questa sorte, discorsi in aria.
Renzo va dall’Azzecca-garbugli
Il matrimonio è saltato. Don Abbondio ha informato Renzo che il matrimonio deve essere rimandato perché lui non sta bene.
Renzo e Lucia parlano con Agnese, la madre della giovane sposa, che suggerisce di rivolgersi ad un uomo di legge per trovare un “bandolo..un parere, una parolina d’un uomo che abbia studiato“.
Renzo accetta il consiglio e Agnese gli prepara i capponi da portare all’avvocato.
Ecco l’incontro tra Renzo e l’Azzecca-garbugli, che lo scambia per un bravo.
8 novembre 1628
Giunto al borgo, domandò dell’abitazione del dottore; gli fu indicata, e v’andò. All’entrare, si sentì preso da quella suggezione che i poverelli illetterati provano in vicinanza d’un signore e d’un dotto, e dimenticò tutti i discorsi che aveva preparati; ma diede un’occhiata ai capponi, e si rincorò. Entrato in cucina, domandò alla serva, se si poteva parlare al signor dottore. Adocchiò essa le bestie, e, come avvezza a somiglianti doni, mise loro le mani addosso, quantunque Renzo andasse tirando indietro, perché voleva che il dottore vedesse e sapesse ch’egli portava qualche cosa. Capitò appunto mentre la donna diceva: “date qui, e andate innanzi.” Renzo fece un grande inchino: il dottore l’accolse umanamente, con un “venite, figliuolo,” e lo fece entrar con sé nello studio. Era questo uno stanzone, su tre pareti del quale eran distribuiti i ritratti de’ dodici Cesari; la quarta, coperta da un grande scaffale di libri vecchi e polverosi: nel mezzo, una tavola gremita d’allegazioni, di suppliche, di libelli, di gride, con tre o quattro seggiole all’intorno, e da una parte un seggiolone a braccioli, con una spalliera alta e quadrata, terminata agli angoli da due ornamenti di legno, che s’alzavano a foggia di corna, coperta di vacchetta, con grosse borchie, alcune delle quali, cadute da gran tempo, lasciavano in libertà gli angoli della copertura, che s’accartocciava qua e là. Il dottore era in veste da camera, cioè coperto d’una toga ormai consunta, che gli aveva servito, molt’anni addietro, per perorare, ne’ giorni d’apparato, quando andava a Milano, per qualche causa d’importanza. Chiuse l’uscio, e fece animo al giovine, con queste parole: “figliuolo, ditemi il vostro caso.”
“Vorrei dirle una parola in confidenza.”
“Son qui,” rispose il dottore: “parlate.” E s’accomodò sul seggiolone. Renzo, ritto davanti alla tavola, con una mano nel cocuzzolo del cappello, che faceva girar con l’altra, ricominciò: “vorrei sapere da lei che ha studiato…”
“Ditemi il fatto come sta.” interruppe il dottore.
“Lei m’ha da scusare: noi altri poveri non sappiamo parlar bene. Vorrei dunque sapere…”
“Benedetta gente! siete tutti così: in vece di raccontar il fatto, volete interrogare, perché avete già i vostri disegni in testa.”
“Mi scusi, signor dottore. Vorrei sapere se, a minacciare un curato, perché non faccia un matrimonio, c’è penale.”
— Ho capito, — disse tra sé il dottore, che in verità non aveva capito. — Ho capito. — E subito si fece serio, ma d’una serietà mista di compassione e di premura; strinse fortemente le labbra, facendone uscire un suono inarticolato che accennava un sentimento, espresso poi più chiaramente nelle sue prime parole. “Caso serio, figliuolo; caso contemplato. Avete fatto bene a venir da me. È un caso chiaro, contemplato in cento gride, e… appunto, in una dell’anno scorso, dell’attuale signor governatore. Ora vi fo vedere, e toccar con mano.”
Così dicendo, s’alzò dal suo seggiolone, e cacciò le mani in quel caos di carte, rimescolandole dal sotto in su, come se mettesse grano in uno staio.
“Dov’è ora? Vien fuori, vien fuori. Bisogna aver tante cose alle mani! Ma la dev’esser qui sicuro, perché è una grida d’importanza. Ah! ecco, ecco.” La prese, la spiegò, guardò alla data, e, fatto un viso ancor più serio, esclamò: “il 15 d’ottobre 1627! Sicuro; è dell’anno passato: grida fresca; son quelle che fanno più paura. Sapete leggere, figliuolo?”
“Un pochino, signor dottore.”
“Bene, venitemi dietro con l’occhio, e vedrete.”
E, tenendo la grida sciorinata in aria, cominciò a leggere, borbottando a precipizio in alcuni passi, e fermandosi distintamente, con grand’espressione, sopra alcuni altri, secondo il bisogno (…)
Mentre il dottore leggeva, Renzo gli andava dietro lentamente con l’occhio, cercando di cavar il costrutto chiaro, e di mirar proprio quelle sacrosante parole, che gli parevano dover esser il suo aiuto. Il dottore, vedendo il nuovo cliente più attento che atterrito, si maravigliava. — Che sia matricolato costui, — pensava tra sé. “Ah! ah!” gli disse poi: — “vi siete però fatto tagliare il ciuffo. Avete avuto prudenza: però, volendo mettervi nelle mie mani, non faceva bisogno. Il caso è serio; ma voi non sapete quel che mi basti l’animo di fare, in un’occasione.”
(…)
“In verità, da povero figliuolo,” rispose Renzo, “io non ho mai portato ciuffo in vita mia.”
“Non facciam niente,” rispose il dottore, scotendo il capo, con un sorriso, tra malizioso e impaziente. “Se non avete fede in me, non facciam niente. Chi dice le bugie al dottore, vedete figliuolo, è uno sciocco che dirà la verità al giudice. All’avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle. Se volete ch’io v’aiuti, bisogna dirmi tutto, dall’a fino alla zeta, col cuore in mano, come al confessore. Dovete nominarmi la persona da cui avete avuto il mandato: sarà naturalmente persona di riguardo; e, in questo caso, io anderò dalui, a fare un atto di dovere. Non gli dirò, vedete, ch’io sappia da voi, che v’ha mandato lui: fidatevi. Gli dirò che vengo ad implorar la sua protezione, per un povero giovine calunniato. E con lui prenderò i concerti opportuni, per finir l’affare lodevolmente. Capite bene che, salvando sé, salverà anche voi. Se poi la scappata fosse tutta vostra, via, non mi ritiro: ho cavato altri da peggio imbrogli… Purché non abbiate offeso persona di riguardo, intendiamoci, m’impegno a togliervi d’impiccio: con un po’ di spesa, intendiamoci. Dovete dirmi chi sia l’offeso, come si dice: e, secondo la condizione, la qualità e l’umore dell’amico, si vedrà se convenga più di tenerlo a segno con le protezioni, o trovar qualche modo d’attaccarlo noi in criminale, e mettergli una pulce nell’orecchio; perché, vedete, a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo, e nessuno è innocente. In quanto al curato, se è persona di giudizio, se ne starà zitto; se fosse una testolina, c’è rimedio anche per quelle. D’ogni intrigo si può uscire; ma ci vuole un uomo: e il vostro caso è serio; serio, vi dico, serio: la grida canta chiaro; e se la cosa si deve decider tra la giustizia e voi, così a quattr’occhi, state fresco. Io vi parlo da amico: le scappate bisogna pagarle: se volete passarvela liscia, danari e sincerità, fidarvi di chi vi vuol bene, ubbidire, far tutto quello che vi sarà suggerito.”
(…)
“Diavolo!” esclamò il dottore, spalancando gli occhi. “Che pasticci mi fate? Tant’è; siete tutti così: possibile che non sappiate dirle chiare le cose?”
“Ma mi scusi; lei non m’ha dato tempo: ora le racconterò la cosa, com’è. Sappia dunque ch’io dovevo sposare oggi,” e qui la voce di Renzo si commosse, “dovevo sposare oggi una giovine, alla quale discorrevo, fin da quest’estate; e oggi, come le dico, era il giorno stabilito col signor curato, e s’era disposto ogni cosa. Ecco che il signor curato comincia a cavar fuori certe scuse… basta, per non tediarla, io l’ho fatto parlar chiaro, com’era giusto; e lui m’ha confessato che gli era stato proibito, pena la vita, di far questo matrimonio. Quel prepotente di don Rodrigo…”
“Eh via!” interruppe subito il dottore, aggrottando le ciglia, aggrinzando il naso rosso, e storcendo la bocca, “eh via! Che mi venite a rompere il capo con queste fandonie? Fate di questi discorsi tra voi altri, che non sapete misurar le parole; e non venite a farli con un galantuomo che sa quanto valgono. Andate, andate; non sapete quel che vi dite: io non m’impiccio con ragazzi; non voglio sentir discorsi di questa sorte, discorsi in aria.”
I Promessi Sposi, Cap. III
E il dottor Azzecca-garbugli invita Renzo ad andarsene riprendendo i capponi che aveva portato.
Immagine di copertina – Illustrazione di Francesco Gonin per I Promessi Sposi, edizione 1840 – Archivio Biblioteca Braidense di Milano
Articolo aggiornato il 4 Ottobre 2023 da eccoLecco