I Promessi Sposi
Riassunto Capitolo 18
Abbiamo lasciato Renzo dal cugino Bortolo a Bergamo (vedi riassunto capitolo 17) e in questo nuovo capitolo troviamo indirettamente ancora il nostro protagonista, braccato dalla polizia, ed i tre personaggi “amabili in tutto” al quale il giovine aveva pensato la notte prima: Lucia, Padre Cristoforo ed Agnese.
Sappiamo con certezza che è il “13 di novembre” e il signor podestà di Lecco riceve “un dispaccio del signor capitano di giustizia, contenente un ordine di fare ogni possibile e più opportuna inquisizione, per iscoprire se un certo giovine nominato Lorenzo Tramaglino, filatore di seta, scappato dalle forze (…) sia tornato“.
Il podestà, dopo essersi accertato che il giovane non era tornato in città, dà disposizione di farsi condurre alla sua abitazione. “La casa è chiusa; chi ha le chiavi non c’è, o non si lascia trovare”. Allora sfondano l’uscio ed entrano.
Questa notizia si sparge nel paese velocemente e giunge “agli orecchi di Padre Cristoforo” che desidera avere “qualche lume intorno alla cagione d’un fatto così inaspettato“, però alle sue domande riceve solo congetture, così decide di scrivere al Padre Bonaventura per avere qualche notizia in più.
A poco a poco, si viene a sapere che Renzo è scappato dalla giustizia, nel bel mezzo di Milano, e poi scomparso; corre voce che abbia fatto qualcosa di grosso; ma la cosa poi non si sa dire, o si racconta in cento maniere. Quanto più è grossa, tanto meno vien creduta nel paese, dove Renzo è conosciuto per un bravo giovine: i più presumono, e vanno susurrandosi agli orecchi l’uno con l’altro, che è una macchina mossa da quel prepotente di don Rodrigo, per rovinare il suo povero rivale.
Tale notizia ovviamente non può che far piacere a don Rodrigo che se ne compiace, quasi fosse opera sua, con il conte Attilio.
(…) l’ordine venuto da Milano dell’esecuzione da farsi contro Renzo era già un indizio che le cose avevan ripreso il corso ordinario; e, quasi nello stesso tempo, se n’ebbe la certezza positiva. Il conte Attilio partì immediatamente, animando il cugino a persister nell’impresa, a spuntar l’impegno, e promettendogli che, dal canto suo, metterebbe subito mano a sbrigarlo dal frate; al qual affare, il fortunato accidente dell’abietto rivale doveva fare un gioco mirabile.
Al palazzotto di don Rodrigo arriva “il Griso da Monza sano e salvo” che riferisce al suo padrone che “Lucia era ricoverata nel tal monastero, sotto la protezione della tal signora; e stava sempre nascosta, quasi se fosse una monaca anche lei, non mettendo mai piede fuor della porta, e assistendo alle funzioni di chiesa da una finestrina con la grata“.
Queste parole infiammano “sempre più la sua passione, cioè quel misto di puntiglio, di rabbia e d’infame capriccio, di cui la sua passione era composta“.
E don Rodrigo inizia rimuginare: Renzo assente e bandito, quindi contro lui ogni cosa diviene lecita, un monastero di Monza, ch’è “un osso troppo duro” per i suoi denti.
Si trova quasi sul punto di abbandonare l’impresa, andare a Milano e divertirsi con gli amici. Ma poi pensa a questi amici, magari già allertati dal conte Attilio, che quindi si aspettano cose da lui. Ritorna sempre questo monologare di don Rodrigo, la sua insicurezza costante, ma l’immagine che deve dare di uomo potente.
Il tormento di don Rodrigo si allieva quando scopre Padre Cristoforo è partito dal convento di Pescarenico, che Agnese è tornata a casa sua, e allora la lettera d’Attilio gli fa un gran coraggio.
Qui il narratore apre la digressione per mostrarci le due figure e il perché delle due notizie che hanno giovato a don Rodrigo.
Agnese e Lucia sono appena arrivate al convento di Monza quando inizia a circolare la notizia dei fatti di Milano e la fattoressa che le ospita dice loro di aver sentito che “è scappato uno, che è di Lecco, o di quelle parti“, di cui non conosce il nome.
Questo fatto crea ansia alle due donne, sapendo che Renzo era arrivato a Milano proprio quel giorno fatidico.
Più d’un giorno, dovettero la povera donna e la desolata fanciulla stare in una tale incertezza, a mulinare sul come, sul perchè, sulle conseguenze di quel fatto doloroso, a commentare, ognuna tra sè, o sottovoce tra loro, quando potevano, quelle terribili parole.
“Un giovedì finalmente” arriva al convento un uomo e cerca Agnese. Lo ha mandato Padre Cristoforo con il compito di salutare le donne ed informarle su quanto “si sapeva del tristo caso di Renzo“, con la raccomandazione di avere pazienza e di confidare in Dio. Inoltre il messo dice loro dell’incursione fatta in casa di Renzo e della voce che lui fosse in salvo nel territorio bergamasco.
“Una tale certezza, e non fa bisogno di dirlo, fu un gran balsamo per Lucia: d’allora in poi le sue lacrime scorsero più facili e più dolci; provò maggior conforto negli sfoghi segreti con la madre; e in tutte le sue preghiere, c’era mescolato un ringraziamento“.
Il giovedì seguente le due donne ricevono insieme ai saluti di Padre Cristoforo “la conferma della fuga felice di Renzo“.
Il terzo giovedì non si vede nessuno e per le “povere donne” questo rappresenta “non solo una privazione d’un conforto desiderato e sperato, ma come accade per ogni piccola cosa a chi è afflitto e impicciato, una cagione d’inquietudine, di cento sospetti molesti“.
Agnese già aveva pensato di far ritorno a casa ed il mancato arrivo del messo le fa credere che sia giunto il momento di lasciare il convento, così il giorno successivo aspetta sulla strada “il pesciaiolo che doveva passar di lì, tornano da Milano“, gli chiede “in cortesia un posto sul baroccio, per farsi condurre a’ suoi monti“.
Arrivata a Lecco, si reca al convento di Padre Cristoforo e le apre fra Galdino, il quale la informa che il frate non c’è, è partito per Rimini. La donna chiede perché del trasferimento, ma il frate non sa darle risposta, così Agnese s’incammina “verso il suo paesetto, desolata, confusa, sconcertata, come il povero cieco che avesse perduto il bastone“.
Ecco che Manzoni ci presenta un’altra digressione sulla visita a Milano del conte Attilio al zio in comune con don Rodrigo, ovvero lo “zio del Consiglio segreto“.
Il conte Attilio informa lo zio “d’un affare” per il quale aggiunge è necessario il suo intervento altrimenti “può diventar serio, e portar delle conseguenze…”.
Quindi Attilio dice che c’è un frate cappuccino che ce l’ha con don Rodrigo, che lo ha provocato “in tutte le maniere”, e che sa che è suo nipote e quindi proprio per questo è ancor più imbestialito.
Allora lo zio chiede il nome del frate ed aggiunge che il “Padre Cristoforo da ***” è collegato a Lorenzo Tramaglino.
Al che il conte zio capisce tutto e dice ad Attilio che sistemerà la situazione in qualche modo, pertanto dietro il trasferimento del cappuccino a Rimini c’è indirettamente don Rodrigo.
Articolo aggiornato il 9 Giugno 2022 da eccoLecco