“Questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai.”
Appare subito indirettamente nei Promessi Sposi e da questa frase si innesca la storia.
Don Rodrigo: l’antagonista, l’oppressore degli umili
Funzione negativa nei Promessi Sposi
Don Rodrigo è l’antagonista principale nei Promessi Sposi ed è a causa del suo “capriccio per Lucia” che si mette in moto la storia narrata da Alessandro Manzoni.
Compare indirettamente da subito, quando nel primo capitolo i Bravi incontrano don Abbondio pronunciano la celeberrima frase “questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai”, ma per incontrarlo direttamente dobbiamo aspettare il cap. V quando padre Cristoforo, dopo aver parlato con Lucia, sua madre Agnese e infine con Renzo, si reca al palazzotto di don Rodrigo.
Don Rodrigo: descrizione del personaggio
Manzoni non ci descrive Don Rodrigo, non sappiamo fisicamente come sia, di lui viene tracciato un ritratto indiretto mediante la descrizione del suo palazzotto dalla quale traspare la sua fama di malvagio, che si circonda di gente come lui.
Vediamo quindi come l’autore ci descrive indirettamente il personaggio di Don Rodrigo, mediante il suo palazzotto e l’ambiente circostante.
La descrizione la troviamo nel capitolo 5 dei Promessi Sposi.
Il palazzotto di don Rodrigo sorgeva isolato, a somiglianza d’una bicocca, sulla cima d’uno de’ poggi ond’è sparsa e rilevata quella costiera. A questa indicazione l’anonimo aggiunge che il luogo (avrebbe fatto meglio a scriverne alla buona il nome) era più in su del paesello degli sposi, discosto da questo forse tre miglia, e quattro dal convento. Appiè del poggio, dalla parte che guarda a mezzogiorno, e verso il lago, giaceva un mucchietto di casupole, abitate da contadini di don Rodrigo; ed era come la piccola capitale del suo piccol regno. Bastava passarvi, per esser chiarito della condizione e de’ costumi del paese. Dando un’occhiata nelle stanze terrene, dove qualche uscio fosse aperto, si vedevano attaccati al muro schioppi, tromboni, zappe, rastrelli, cappelli di paglia, reticelle e fiaschetti da polvere, alla rinfusa.
(…) Fra Cristoforo attraversò il villaggio, salì per una viuzza a chiocciola, e pervenne su una piccola spianata, davanti al palazzotto. La porta era chiusa, segno che il padrone stava desinando, e non voleva esser frastornato. Le rade e piccole finestre che davan sulla strada, chiuse da imposte sconnesse e consunte dagli anni, eran però difese da grosse inferriate, e quelle del pian terreno tant’alte che appena vi sarebbe arrivato un uomo sulle spalle d’un altro. Regnava quivi un gran silenzio; e un passeggiero avrebbe potuto credere che fosse una casa abbandonata, se quattro creature, due vive e due morte, collocate in simmetria, di fuori, non avesser dato un indizio d’abitanti. Due grand’avoltoi, con l’ali spalancate, e co’ teschi penzoloni, l’uno spennacchiato e mezzo roso dal tempo, l’altro ancor saldo e pennuto, erano inchiodati, ciascuno sur un battente del portone; e due bravi, sdraiati, ciascuno sur una delle panche poste a destra e a sinistra, facevan la guardia, aspettando d’esser chiamati a goder gli avanzi della tavola del signore.
(…)
Attraversati due o tre altri salotti oscuri, arrivarono all’uscio della sala del convito. Quivi un gran frastono confuso di forchette, di coltelli, di bicchieri, di piatti, e sopra tutto di voci discordi, che cercavano a vicenda di soverchiarsi.
Se analizziamo questo brano possiamo evidenziare alcuni aspetti semantici e descrittivi:
- Manzoni utilizza spesso l’aggettivo “piccolo“ per descrivere l’ambiente e gli elementi del palazzotto di don Rodrigo, questo piccolo in senso fisico si traspone su un livello più alto ed indiretto connotando la figura di Don Rodrigo come un personaggio mediocre, di poco spessore dal punto di vista etico e morale
- il disordine degli oggetti appesi al muro ci trasmettono quel disordine psicologico che vive don Rodrigo e lo vedremo meglio spiegato più avanti
- le quattro creature, due vive e due morte, ovvero i due bravi e i due avvoltoi, sono accomunati dal senso di vita e di morte e dall’accoppiata uomini – animali
- l’oscurità delle sale interne, il frastuono confuso e le voci discordi che cercano di soverchiarsi, rappresentano anch’essi l’immagine di don Rodrigo come di un personaggio non illuminato dalla ragione, non limpido e cristallino, in cui l’oscurità del male prevale, in cui la prevaricazione è il denominatore comune degli atteggiamenti
Possiamo dire che don Rodrigo rappresenta una negatività essenziale, incarna il male nella sua vera essenza ovvero è non essere, inerzia, impotenza, tipico di chi non ha personalità.
La sua grandezza e la sua forza gli derivano unicamente dall’ambiente e dal costume dell’epoca.
La sua forza è incarnata dalle persone di cui si circonda: il dottor Azzeccagarbugli che aggira la legge, il conte zio, nel podestà e nei suoi bravi.
Don Rodrigo: analisi psicologica del personaggio
Don Rodrigo, nonostante questo aspetto da soverchiatore dei poveri, rispecchia la nobiltà del XVII secolo, avvezza ad accanirsi contro la gente con violenze e soprusi, svelando anche un lato debole che si contrappone al suo essere spietato e prepotente, infatti si manifesta anche insicuro e pauroso.
Don Rodrigo ha una doppia personalità, un duplice aspetto che riscontriamo nel corso del romanzo, una parabola discendente che alla fine lo vede vittima della peste, tradito dal suo Griso.
Troviamo un profilo del personaggio anche nel capitolo 19, quando Manzoni ci introduce la figura dell’Innominato, al quale don Rodrigo chiede aiuto per rapire Lucia.
Il narratore onnisciente ci dice:
Don Rodrigo voleva bensì fare il tiranno, ma non il tiranno salvatico: la professione era per lui un mezzo, non uno scopo: voleva dimorar liberamente in città, godere i comodi, gli spassi, gli onori della vita civile; e perciò bisognava che usasse certi riguardi, tenesse di conto parenti, coltivasse l’amicizia di persone alte, avesse una mano sulle bilance della giustizia, per farle a un bisogno traboccare dalla sua parte, o per farle sparire, o per darle anche, in qualche occasione, sulla testa di qualcheduno che in quel modo si potesse servir più facilmente che con l’armi della violenza privata.
Se analizziamo come agisce don Rodrigo, ci accorgiamo che le sue azioni non sono generate da un pensiero proprio e da una libera decisione, ma sono influenzate dalla società, dalla situazione storica, dal costume, che lo dominano.
Come Manzoni ci rappresenta don Rodrigo in tal senso?
- Con i suoi soliloqui, che ci mostrano il non carattere
- con i tre colloqui con Padre Cristoforo, che ci mettono in luce il destino del personaggio nel corso del romanzo
I soliloqui di don Rodrigo
I soliloqui di don Rodrigo sottolineano la mancanza di una vita interiore, infatti don Rodrigo rimugina spesso su come escogitare pratiche, che non mirano unicamente allo scopo di avere Lucia con sé, ma anche alla preoccupazione di essere all’altezza della situazione, di fare ciò che la gente che lo attornia si aspetta da lui.
Dal capitolo 7 dei Promessi Sposi:
Don Rodrigo, come abbiam detto, misurava innanzi e indietro, a passi lunghi, quella sala, dalle pareti della quale pendevano ritratti di famiglia, di varie generazioni. Quando si trovava col viso a una parete, e voltava, si vedeva in faccia un suo antenato guerriero, terrore de’ nemici e de’ suoi soldati, torvo nella guardatura, co’ capelli corti e ritti, co’ baffi tirati e a punta, che sporgevan dalle guance, col mento obliquo: ritto in piedi l’eroe, con le gambiere, co’ cosciali, con la corazza, co’ bracciali, co’ guanti, tutto di ferro; con la destra sul fianco, e la sinistra sul pomo della spada. Don Rodrigo lo guardava; e quando gli era arrivato sotto, e voltava, ecco in faccia un altro antenato, magistrato, terrore de’ litiganti e degli avvocati, a sedere sur una gran seggiola coperta di velluto rosso, ravvolto in un’ampia toga nera; tutto nero, fuorchè un collare bianco, con due larghe facciole, e una fodera di zibellino arrovesciata (era il distintivo de’ senatori, e non lo portavan che l’inverno, ragion per cui non si troverà mai un ritratto di senatore vestito d’estate); macilento, con le ciglia aggrottate: teneva in mano una supplica, e pareva che dicesse: vedremo.
Di qua una matrona, terrore delle sue cameriere; di là un abate, terrore de’ suoi monaci: tutta gente in somma che aveva fatto terrore, e lo spirava ancora dalle tele. Alla presenza di tali memorie, don Rodrigo tanto più s’arrovellava, si vergognava, non poteva darsi pace, che un frate avesse osato venirgli addosso, con la prosopopea di Nathan. Formava un disegno di vendetta, l’abbandonava, pensava come soddisfare insieme alla passione, e a ciò che chiamava onore; e talvolta (vedete un poco!) sentendosi fischiare ancora agli orecchi quell’esordio di profezia, si sentiva venir, come si dice, i bordoni, e stava quasi per deporre il pensiero delle due soddisfazioni.
Ecco che anche in questo capitolo Manzoni ci descrive don Rodrigo indirettamente, mediante i ritratti di famiglia e ci fa capire che è inquieto infatti misura la stanza camminando avanti ed indietro e quando si ferma vede i volti dei suoi antenati. Un’inquietudine presente che trova una qual certa forma di determinazione guardando chi lo ha preceduto, che incuteva terrore e lo dimostrava anche dai dipinti.
Ancora una volta vediamo il non essere di don Rodrigo, il suo essere gli deriva da altri, in questo caso dai suoi avi.
Si esplicita anche chiaramente la sua incapacità di prendere decisioni, infatti stava quasi per retrocedere dai suoi pensieri spregevoli.
In fondo don Rodrigo è un debole, è influenzabile, vive di immagini e non di realtà.
Si abbandona ai pensieri fantastici, si droga di immagini e lo vediamo anche mentre aspetta che i bravi gli portino Lucia (vedi riassunto capitolo 11):
Egli camminava innanzi e indietro, al buio, per una stanzaccia disabitata dell’ultimo piano, che rispondeva sulla spianata. Ogni tanto si fermava, tendeva l’orecchio, guardava dalle fessure dell’imposte intarlate, pieno d’impazienza e non privo d’inquietudine, non solo per l’incertezza della riuscita, ma anche per le conseguenze possibili; (…).
In quanto ai sospetti, — pensava, — me ne rido. Vorrei un po’ sapere chi sarà quel voglioso che venga quassù a veder se c’è o non c’è una ragazza. Venga, venga quel tanghero, che sarà ben ricevuto. Venga il frate, venga. La vecchia? Vada a Bergamo la vecchia. La giustizia? Poh la giustizia! Il podestà non è un ragazzo, nè un matto. E a Milano? Chi si cura di costoro a Milano? Chi gli darebbe retta? Chi sa che ci siano? Son come gente perduta sulla terra; non hanno nè anche un padrone: gente di nessuno. Via, via, niente paura.
Sempre inquieto, sempre preoccupato, sempre agitato, sempre insicuro.
Don Rodrigo e i tre colloqui con Padre Cristoforo
Che tipo di personaggio è Don Rodrigo dal punto di vista psicologico?
Davvero è così vuoto di sé oppure anch’egli ha una sua coscienza, che viene toccata, illuminata a tratti?
Possiamo dire che Manzoni ci vuol fare intendere che anche don Rodrigo abbia una coscienza, sebbene sia soffocata, respinta, tenuta coperta, ridotta quasi all’impotenza.
Per mostrarci questa coscienza latente, l’autore si avvale di un altro personaggio, Padre Cristoforo, strumentale e funzionale all’obiettivo. Vedi il primo incontro di don Rodrigo con il frate.
1° incontro tra don Rodrigo e Padre Cristoforo
Avviene presso il palazzotto di don Rodrigo (vedi riassunto capitolo 6):
- il frate cappuccino ha la funzione di essere il messaggero della verità
- don Rodrigo lo percepisce e prova un senso di fastidio, di pericolo, di vaga paura, ovvero la paura di dove riflettere e rispondere alla sua coscienza, a ragionare su questiono che non appartengono al suo mondo
Come avviene il colloquio tra i due?
Don Rodrigo cerca di condurre il colloquio in maniera tale da evitare che Padre Cristoforo possa far passare il suo messaggio, infatti don Rodrigo cerca di “volgere il discorso in contesa, e non dargli luogo di venire alle strette“, coinvolgendo il cappuccino in un meccanismo dialettico e retorico:
- l’intimidazione arrogante con quel “In che posso ubbidirla?“
- l’interruzione del dialogo
- l’eccezione della competenza quando gli dice “Lei mi parlerà della mia coscienza quando verrò a confessarmi da lei“
- il sarcasmo: “lei mi tratta da più di quel che sono. Il predicatore in casa! Non l’hanno che i principi!“
- fingere di non capire il gioco dell’equivoco: “io non so quel che lei voglia dire: non capisco altro se non che ci dev’essere qualche fanciulla che le preme molto (…)“
- l’irrisione: “la consigli di mettersi sotto la mia protezione“
Padre Cristoforo, al sentirsi pronunciare “escimi di tra’ piedi, villano temerario, poltrone incappucciato” perde “ogni spirito d’ira e d’entusiasmo, e non gli restò altra risoluzione che quella d’udir tranquillamente ciò che a don Rodrigo piacesse d’aggiungere” ed avviene ciò che don Rodrigo non si aspetta: arriva il messaggio alla coscienza “alzando la sinistra con l’indice teso verso di lui e puntandogli in faccia due occhi infiammati“.
Padre Cristoforo profetizza che verrà un giorno, profetizza un oscuro castigo che penetra in don Rodrigo in maniera indelebile, diviene la voce della verità, la voce della sua coscienza.
Abbiamo detto che don Rodrigo vive di immagini. E quale immagini più di ogni altra gli è rimasta impressa?
Il braccio alzato di Padre Cristoforo ed il suo indice puntato al volto. La profezia come lui stesso l’ha chiamata, di quel giorno che verrà e che poi infatti viene.
2° incontro tra don Rodrigo e Padre Cristoforo
Il secondo incontro tra i due personaggi avviene in sogno e vediamo che don Rodrigo rivive l’immagine di Padre Cristoforo e di quella mano puntata contro di lui. Dal capitolo 33:
Il Griso prese il lume, e, augurata la buona notte al padrone, se n’ando in fretta, mentre quello si cacciava sotto. […]
Ma appena velato l’occhio, si svegliava con un riscossone, come se uno, per dispetto, fosse venuto a dargli una tentennata; […] Dopo un lungo rivoltarsi, finalmente s’addormento, e cominciò a fare i più brutti e arruffati sogni del mondo. E d’uno in un altro, gli parve di trovarsi in una gran chiesa, in su, in su, in mezzo a una folla; di trovarcisi, chè non sapeva come ci fosse andato, come gliene fosse venuto il pensiero, in quel tempo specialmente; e n’era arrabbiato. Guardava i circostanti; eran tutti visi gialli, distrutti, con cert’occhi incantati, abbacinati, con le labbra spenzolate; tutta gente con certi vestiti che cascavano a pezzi; e da’ rotti si vedevano macchie e bubboni. (…) Guardò anche lui vide un pulpito, dal parapetto di quello spuntar su un non so che di convesso, liscio e luccicante; poi alzarsi e comparir distinta una testa pelata, poi due occhi, un viso, una barba lunga e bianca, un frate ritto, fuor del parapetto fino alla cintola, fra Cristoforo. Il quale, fulminato uno sguardo in giro su tutto l’uditorio, parve a don Rodrigo che lo fermasse in viso a lui, alzando insieme la mano, nell’attitudine appunto che aveva presa in quella sala a terreno del suo palazzotto. Allora alzò anche lui la mano in furia, fece uno sforzo, come per islanciarsi ad acchiappar quel braccio teso per aria; una voce che gli andava brontolando sordamente nella gola, scoppiò in un grand’urlo; e si destò. […] riconobbe il suo letto, la sua camera; si raccapezzò che tutto era stato un sogno: la chiesa, il popolo, il frate, tutto era sparito; tutto fuorchè una cosa, quel dolore dalla parte sinistra. […] finalmente la scoprí, ci diede un’occhiata paurosa; e vide un sozzo bubbone d’un livido paonazzo.
Prima di questa notte e di questo sogno don Rodrigo si era divertito a “straviziare” con i suoi amici, Manzoni ci dice che “Quel giorno, don Rodrigo era stato uno de’ più allegri; e tra l’altre cose, aveva fatto rider tanto la compagnia”. I bagordi della vita, gli stravizi, lo stordimento del vino allontanano don Rodrigo dal suo io interiore, dalla sua coscienza, che si presenta con tutta la sua prepotenza durante la notte, in sogno. E ritorna quell’immagine, che ha cercato di cancellare stordendosi gozzovigliando.
Eccola lì la coscienza.
3° incontro tra don Rodrigo e Padre Cristoforo
Quella profezia lanciata da padre Cristoforo nel 5° capitolo si avvera, si concretizza nel capitolo 35 quando i due si incontrano nuovamente di persona e con loro è presente anche Renzo.
Ci troviamo al Lazzaretto a Milano: don Rodrigo si trova qui malato di peste, tradito dal Griso ed oltraggiato dai monatti.
“Ebbene, vieni con me. Hai detto: lo troverò; lo troverai. Vieni, e vedrai con chi tu potevi tener odio, a chi potevi desiderar del male, volergliene fare, sopra che vita tu volevi far da padrone.”
E, presa la mano di Renzo, e strettala come avrebbe potuto fare un giovine sano, si mosse. Quello, senza osar di domandar altro, gli andò dietro.
Dopo pochi passi, il frate si fermò vicino all’apertura d’una capanna, fissò gli occhi in viso a Renzo, con un misto di gravità e di tenerezza; e lo condusse dentro.
(…)
Renzo intanto, girando, con una curiosità inquieta, lo sguardo sugli altri oggetti, vide tre o quattro infermi, ne distinse uno da una parte sur una materassa, involtato in un lenzolo, con una cappa signorile indosso, a guisa di coperta: lo fissò, riconobbe don Rodrigo, e fece un passo indietro; ma il frate, facendogli di nuovo sentir fortemente la mano con cui lo teneva, lo tirò appiè del covile, e, stesavi sopra l’altra mano, accennava col dito l’uomo che vi giaceva. (…)
“Tu vedi!” disse il frate, con voce bassa e grave. “Può esser gastigo, può esser misericordia. Il sentimento che tu proverai ora per quest’uomo che t’ha offeso, sì; lo stesso sentimento, il Dio, che tu pure hai offeso, avrà per te in quel giorno.(…) Forse la salvezza di quest’uomo e la tua dipende ora da te, da un tuo sentimento di perdono, di compassione… d’amore!”
Ritornano gli occhi e il dito di Padre Cristoforo che indica ancora una volta don Rodrigo.
Ecco che quel castigo, quella profezia è lì, è divenuta reale, vera. La piaga interiore ora sono bubboni visibili.
E la persona di don Rodrigo, il corpo ormai privo di sentimento, che giace a terra, diventa strumento di conversione per Renzo per opera di Padre Cristoforo.
Don Rodrigo nel sistema dei personaggi: antagonista ed oppressore
Nel sistema dei personaggi dei Promessi Sposi lui è l’oppressore di Lucia, che si avvale di altri persone come strumento del suo sopruso.
Lo vediamo per la prima volta quando padre Cristoforo si reca al suo palazzotto, dopo aver saputo da Renzo e Lucia del matrimonio impedito.
(…) quello stesso don Rodrigo, ch’era lì in capo di tavola, in casa sua, nel suo regno, circondato d’amici, d’omaggi, di tanti segni della sua potenza, con un viso da far morire in bocca a chi si sia una preghiera, non che un consiglio, non che una correzione, non che un rimprovero.
I Promessi Sposi, cap. V
Dopo il colloquio con il frate Manzoni ce lo dipinge pronto per andare a Lecco.
Il servitore partì, rispondendo con un inchino; e, poco dopo, tornò, portando la ricca spada, che il padrone si cinse; la cappa, che si buttò sulle spalle; il cappello a gran penne, che mise e inchiodò, con una manata, fieramente sul capo: segno di marina torbida. Si mosse, e, alla porta, trovò i sei ribaldi tutti armati, i quali, fatto ala, e inchinatolo, gli andaron dietro. Più burbero, più superbioso, più accigliato del solito, uscì, e andò passeggiando verso Lecco. I contadini, gli artigiani, al vederlo venire, si ritiravan rasente al muro, e di lì facevano scappellate e inchini profondi, ai quali non rispondeva. Come inferiori, l’inchinavano anche quelli che da questi eran detti signori; ché, in que’ contorni, non ce n’era uno che potesse, a mille miglia, competer con lui, di nome, di ricchezze, d’aderenze e della voglia di servirsi di tutto ciò, per istare al di sopra degli altri. E a questi corrispondeva con una degnazione contegnosa. Quel giorno non avvenne, ma quando avveniva che s’incontrasse col signor castellano spagnolo, l’inchino allora era ugualmente profondo dalle due parti; la cosa era come tra due potentati, i quali non abbiano nulla da spartire tra loro; ma, per convenienza, fanno onore al grado l’uno dell’altro.
I Promessi Sposi, cap. VII
Immagine di copertina: © Biblioteca Braidense. Bozze delle illustrazioni per l’edizione de “I Promessi sposi” del 1840 / n. 012
Per approfondire: Struttura e personaggi dei Promessi Sposi di Enzo Noè Girardi, Jaca Books
Articolo aggiornato il 9 Giugno 2022 da eccoLecco