I Promessi Sposi
Riassunto Capitolo 17
Anche il capitolo diciassettesimo dei Promessi Sposi è interessato dal viaggio di Renzo, iniziato nel capitolo 12 quando lo ritroviamo a Milano nel mezzo della rivolta del pane mentre si doveva recare da Padre Bonaventura con la lettera consegnatagli da Padre Cristoforo.
Inizia quel viaggio effettivamente fisico di Renzo Tramaglino che è anche un viaggio di ricerca, un percorso di formazione del nostro protagonista, che lo pone in contatto con tantissime e diverse persone, facendo della sua figura il personaggio più social di tutta l’opera manzoniana.
Nel capitolo precedente (vedi riassunto capitolo 16) lo abbiamo lasciato a Gorgonzola presso l’osteria con l’intento di fermarsi, ma dopo aver sentito i racconti del mercante decide di proseguire direttamente verso il fiume Adda, ed infatti inizia proprio così il capitolo 17, ma non inizia con la descrizione dei movimenti di Renzo, bensì con i suoi pensieri e riflessioni in maniera diretta, riportati dal narratore onnisciente.
Basta spesso una voglia, per non lasciar ben avere un uomo; pensate poi due alla volta, l’una in guerra coll’altra. Il povero Renzo n’aveva, da molte ore, due tali in corpo, come sapete: la voglia di correre, e quella di star nascosto: e le sciagurate parole del mercante gli avevano accresciuta oltremodo l’una e l’altra a un colpo.
Sono circa le sei di sera e Renzo si rimette in cammino prendendo la “prima viottola che gli paresse di condur dalla parte dove gli premeva di riuscire“. Il narratore ce lo presenta in doppio moto, quello fisico della camminata e quello del continuo pensare: “Verso Milano non vo di certo; dunque vo verso l’Adda. Cammina, cammina, o presto o tardi ci arriverò. L’Adda ha buona voce; e, quando le sarò vicino, non ho più bisogno di chi me l’insegni. Se qualche barca c’è, da poter passare, passo subito, altrimenti mi fermerò fino alla mattina, in un campo, sur una pianta, come le passere: meglio sur una pianta, che in prigione“.
“Andava dunque la strada lo conduceva; e pensava“. E Renzo mentre prosegue il suo viaggio verso il fiume ripensa alle parole del mercante all’osteria, che lo ha dipinto come un assassino, sempre con “quell’andare alla ventura, e, per così dire, al tasto“. Sa la meta che desidera raggiungere, ma non sa quale sia la giusta strada e comunque “cammina, cammina“.
Ecco che finalmente Manzoni ci descrive Renzo nel paesaggio: in una campagna coltivata ormai ricoperta da felci ed arbusti (segno della miseria, della terra abbandonata), un ambiente selvatico dove non si vede “nè più gelso, nè una vite, nè altri segni di coltura umana“.
A poco a poco, si trovò tra macchie più alte, di pruni, di quercioli, di marruche. Seguitando a andare avanti, e allungando il passo, con più impazienza che voglia, cominciò a veder tra le macchie qualche albero sparso; e andando ancora, sempre per lo stesso sentiero, s’accorse d’entrare in un bosco.
Ci viene in mente Dante e l’incipit della Divina Commedia: “mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura!”.
Ecco che anche Renzo prova “orrore indefinito“ che quasi lo soverchia, è “atterrito (…) del suo terrore“. Allora si ferma richiamando “al cuore gli antichi spiriti” per trovare un po’ di conforto e discernimento e mentre pensa al da farsi
stando così fermo, sospeso il fruscìo de’ piedi nel fogliame, tutto tacendo d’intorno a lui, cominciò a sentire un rumore, un mormorìo, un mormorìo d’acqua corrente. Sta in orecchi; n’è certo; esclama: “ è l’Adda!” Fu il ritrovamento d’un amico, d’un fratello, d’un salvatore. La stanchezza quasi scomparve, gli tornò il polso, sentì il sangue scorrer libero e tepido per tutte le vene, sentì crescer la fiducia de’ pensieri, e svanire in gran parte quell’incertezza e gravità delle cose; e non esitò a internarsi sempre più nel bosco, dietro all’amico rumore.
Finalmente il suo fiume, il suo mezzo di passaggio da un luogo in cui i problemi lo rincorrono ad una terra di salvezza.
Ma è stanco e desidera riposarsi: ecco vede una capanna con un uscio “sconnesso (…) senza chiave nè catenaccio“. Renzo lo apre ed entra e vede un’amaca appesa e paglia per terra, quella paglia che diventa per lui il “letto che la Provvidenza gli aveva preparato“. Si inginocchia, la ringrazia per questo beneficio e per “tutta l’assistenza che aveva avuto da essa, in quella terribile giornata“.
Appena chiude gli occhi “nella sua memoria o nella sua fantasia” compaiono tante persone, tutte quelle che aveva incontrato direttamente ed indirettamente, “tutta gente con cui Renzo aveva che dire“. Ma dopo queste persone che per lui sono collegato in un certo qual senso alla giustizia e ad un pensiero, ecco “tre sole immagini (…) nette d’ogni sospetto, amabili in tutto“: Lucia, Padre Cristoforo ed Agnese. (Li ritroviamo tutte e tre nel capitolo 18).
Tra i pensieri, il poco sonno, il sentir freddo, Renzo non vede l’ora che sopraggiunga il mattino. “In quel vasto silenzio” sente “rimbombare i tocchi d’un orologio“, e il narratore ci dice che presumibilmente “dovesse esser quello di Trezzo“.
Quando finalmente quel martello ebbe battuto undici tocchi, ch’era l’ora disegnata da Renzo per levarsi, s’alzò mezzo intirizzito, si mise inginocchioni, disse, e con più fervore del solito, le divozioni della mattina, si rizzò, si stirò in lungo e in largo, scosse la vita e le spalle, come per mettere insieme tutte le membra, che ognuno pareva che facesse da sè, soffiò in una mano, poi nell’altra, se le stropicciò, aprì l’uscio della capanna; e, per la prima cosa, diede un’occhiata in qua e in là, per veder se c’era nessuno. E non vedendo nessuno, cercò con l’occhio il sentiero della sera avanti; lo riconobbe subito, e prese per quello.
Sono le cinque del mattino e Renzo si rimette in moto: “passa i campi, passa la sodaglia, passa le macchie, attraversa il bosco” e arriva sul “ciglio della riva” e vede un pescatore e lo chiama chiedendogli se possa traghettarlo sull’altra sponda del fiume.
Così avviene e Renzo desidera sapere se è ancora in pericolo oppure ha oltrepassato il confine ed è salvo, quindi chiede al pescatore se “quella macchia biancastra che aveva veduta la notte avanti, e che allora gli appariva ben più distinta” fosse Bergamo; il pescatore conferma che la riva è “terra di San Marco“.
Renzo è contento: è al sicuro. Si volta per un attimo a contemplare “quella terra che poco prima scottava tanto sotto ai suoi piedi” e s’incammina prendendo come riferimento la città di Bergamo, “la macchia biancastra” che è Bergamo Alta.
Deve andare dal suo cugino Bartolo.
Arriva al paese del cugino; nell’entrare, anzi prima di mettervi piede, distingue una casa alta alta, a più ordini di finestre lunghe lunghe; riconosce un filatoio, entra, domanda ad alta voce, tra il rumore dell’acqua cadente e delle rote, se stia lì un certo Bortolo Castagneri.
Ed ecco che Renzo vede il cugino e gli corre incontro. Bartolo è felice che Renzo finalmente sia venuto a trovarlo, ma le circostanze ovviamente, come sappiamo, non sono felici, ed infatti spiega al cugino le diverse vicissitudini che lo hanno condizionato ad andare da lui.
Bartolo si propone di aiutarlo sebbene il periodo economico non sia dei migliori, ma gli dice che il suo padrone gli vuole bene e “ha della roba” e che poi lui è il “factotum”, quindi sicuramente troverà una soluzione per Renzo.
Articolo aggiornato il 9 Giugno 2022 da eccoLecco