I Promessi Sposi
Riassunto Capitolo 15
Nel capitolo precedente (vedi riassunto capitolo 14) abbiamo lasciato Renzo presso l’osteria della luna piena e all’inizio di questo quindicesimo capitolo lo ritroviamo ancora lì con l’oste che lo invita ad andare a letto.
Renzo è brillo, dopo tutto il vino che ha bevuto e l’oste deve trascinarlo via con sé e tirarlo su per la scala per portarlo alla camera che gli aveva destinato.
Renzo continua a ricordare il discorso del nome e cognome all’oste e se da un lato gli dice -“Bravo oste! (…) ora vedo che sei un galantuomo: questa è un’opera buona, dare un letto a un figliuolo; ma quella figura che m’hai fatta, sul nome e cognome, quella non era da galantuomo. Per buona sorte che anch’io son furbo la mia parte…“
L’oste si fa pagare anticipatamente, aiuta Renzo a svestirsi, gli stende la coperta e gli augura “sgarbatamente – buona notte-“ quando ormai lui già dorme. Quindi chiude a chiave la camera e informa l’ostessa che doveva andare fuori raccontandole “il noioso accidente“, chiedendole di occuparsi dell’osteria e dei clienti.
L’oste si reca al Palazzo di giustizia per denunciare il fatto, considerando che Renzo era arrivato alla sua osteria in compagnia di un poliziotto e non da solo, quindi desidera levarsi dall’impiccio e salvare la sua persona e la sua osteria.
Una volta arrivato, l’oste racconta “ciò che sapeva intorno a Renzo“, ma il notaio ne sapeva “già più di lui“, perché il finto amico di cui Renzo si era fidato era uno sbirro ed aveva già riportato tutti i fatti.
“Allo spuntar del giorno, Renzo russava da circa sett’ore, ed era ancora, poveretto!, sul più bello, quando due forti scosse alle braccia, e una voce che dappiè del letto gridava – Lorenzo Tramaglino! -“. Ecco che Renzo si sveglia aprendo “gli occhi a stento” e vede “un uomo vestito di nero, e due armati, uno di qua, uno di là del capezzale.“
Lorenzo chiede loro come sapessero il suo nome e allo stesso tempo chiede che lo lascino andare perché lui non ha “che far nulla con la giustizia“, che lui non vuole andare dal capitano di giustizia, ma semmai desidera “esser condotto da Ferrer“, aggiungendo che costui “è un galantuomo“.
Il notaio lo invita a vestirsi, vuole far veloce, perché in strada, durante il suo arrivo presso l’osteria, aveva notato molta gente in giro. Ci dice Manzoni che “desiderava dunque di spicciarsi; ma avrebbe anche voluto condur via Renzo d’amore e d’accordo; giacché, se si fosse venuti a guerra aperta con lui, non poteva esser certo, quando fossero in istrada, di trovarsi tre contr’uno. Perciò dava d’occhio a’ birri, che avessero pazienza, e non inasprissero il giovine; e dalla parte sua, cercava di persuaderlo con buone parole“.
Una volta che Renzo è vestito gli sbirri lo ammanettano, Renzo grida al tradimento mentre il notaio cerca di acquietarlo dicendogli di avere giudizio e di fare come gli diceva, che presto sarebbe stato libero. Ma Renzo non crede alle sue belle parole, anzi capisce che sono solo dei modi perché lui stia buono mentre camminano per strada.
E allora Renzo cosa fa appena sono in strada? Inizia a guardarsi in giro, a tendere gli orecchi e a sporgersi a destra e sinistra, quando ecco che sente delle persone “con visi accesi” che parlano “d’un forno, di farina nascosta“ e allora inizia “a far loro de’cenni col viso, e a tossire in quel modo che indica tutt’altro che un raffreddore“.
Renzo cattura la loro attenzione e “visti i birri diventar bianchi, o almeno pallidi” alza la voce dicendo “– figliouli! – mi menano in prigione, perché ieri ho gridato: pane e giustizia. Non ho fatto nulla; son galantuomo: aiutatemi, non m’abbandonate, figliouli!“.
I poliziotti inizialmente tentano di allontanare la gente pregandola di andarsene, ma “la folla, in vece incalza e pigia sempre più“, così alla fine scappano lasciando lì Renzo e si perdono nella folla. Permane invece il notaio, con la sua cappa nera, che cerca il modo di sembrare estraneo e trovarsi lì per caso.
Grida e spintoni consentono al notaio di scappare via.
Articolo aggiornato il 8 Giugno 2022 da eccoLecco