I Promessi Sposi
Riassunto Capitolo 26
Il cardinale Federigo Borromeo sta facendo il giro delle parrocchie di Lecco e si trova in visita proprio nel paese di Lucia.
Lo abbiamo lasciato nel capitolo precedente che rassicurava Lucia ed Agnese in merito alla loro separazione e al fatto che la proposta ricevuta dalla giovane da parte di donna Prassede era da accettare convintamente e lo vediamo poi a colloquio diretto con don Abbondio, il quale viene incalzato in merito al fatto che il curato non abbia adempiuto ai suoi doveri sposando i “suoi figliouli“.
Proprio la fine del capitolo 25 ci lascia in attesa che il curato proferisca parola dopo tutto il discorso dell’arcivescovo (vedi riassunto capitolo 24).
A una siffatta domanda, don Abbondio, che pur s’era ingegnato di risponder qualcosa a delle meno precise, restò lì senza articolar parola.
Don Abbondio non risponde e il cardinale quindi lo incalza nuovamente dicendogli che non risponde perché non ha compiuto quanto la carità ed il dovere richiedeva, altrimenti ora sarebbe in grado di rispondere. E l’arcivescovo chiede apertamente se non abbiamo sposato Renzo e Lucia adducendo dei pretesti ed attende una risposta.
Il curato pensa che “le chiacchierone” gli hanno riportato tutto, ma non risponde.
Allora il cardinale riprende accusando don Abbondio di aver tenuto “nell’ignoranza, nell’oscurità” “que’ poverini“, di aver ingannato i deboli, di aver mentito ai suoi figliuoli.
Don Abbondio alla fine dice di aver mancato, ma aggiunge una domanda retorica – “ma cosa dovevo fare, in un frangente di quella sorte?“.
Il cardinale prontamente gli risponde che doveva amare, amare e pregare e che avrebbe dovuto informare il suo vescovo in merito all’impedimento che gravava sull’esercizio del suo ministero.
Ecco che il cardinale gli dà lo stesso suggerimento che a suo tempo gli aveva dato Perpetua.
Ma l’arcivescovo ha capito di che pasta è fatto il curato e quindi, dopo averlo messo di fronte alla sua pusillanimità, al suo pericolo temporale anteposto al dovere del ministero sacerdotale a cui era chiamato, gli dice che non deve continuare a scusarsi accusando, ma semplicemente deve amare Renzo e Lucia, perché hanno patito, sono deboli ed hanno bisogno di perdono.
Don Abbondio sta zitto: “ha più cosa da pensare che da dire“.
Il narratore ci mostra il curato e l’arcivescovo con una significativa similitudine che richiama la luce, il lume della religione e della ragione, in un certo senso:
Il male degli altri, dalla considerazion del quale l’aveva sempre distratto la paura del proprio, gli faceva ora un’impressione nuova. E se non sentiva tutto il rimorso che la predica voleva produrre (chè quella stessa paura era sempre lì a far l’ufizio di difensore), ne sentiva però; sentiva un certo dispiacere di sè, una compassione per gli altri, un misto di tenerezza e di confusione. Era, se ci si lascia passare questo paragone, come lo stoppino umido e ammaccato d’una candela, che presentato alla fiamma d’una gran torcia, da principio fuma, schizza, scoppietta, non ne vuol saper nulla; ma alla fine s’accende e, bene o male, brucia.
Don Abbondio, nonostante rimanga in silenzio, si mostra commosso ed il cardinale si accorge che le sue parole “non erano state senza effetto“.
Esorta il curato a riguadagnare il tempo, nonostante gli sposi siano lontani ed al momento non abbiano bisogno di lui. Lo esorta alla carità, quindi il cardinale si muove e don Abbondio lo segue.
Il giorno seguente donna Prassede arriva a prendere Lucia e si complimenta con il cardinale, che le loda la giovine.
Lucia piangendo si stacca dalla madre e saluta per la seconda volta il suo paese (la prima volta era “addio monti sorgenti…” quando lascia Lecco con Renzo ed Agnese verso Monza – vedi riassunto capitolo 8).
Il cardinale sta per lasciare il paese, quando arriva il curato del paese dell’Innominato con una lettera del signore, nella quale prega il cardinale di far accettare ad Agnese cento scudi come dote per la giovane.
Il cardinale fa chiamare subito la donna, che una volta informata del fatto, resta meravigliata e soddisfatta allo stesso tempo.
Ritornata a casa, passa tutto il giorno a pensare e far progetti sull’avvenire, poi all’indomani si incammina verso la villa dove si trova Lucia.
Una volta restate sole, Agnese informa la figlia della fortuna accaduta ed inizia a parlarle del futuro con Renzo.
Lucia si accora e gettando le braccia al collo della madre le dice che ha fatto un voto quando si trovava prigioniera al castello dell’Innominato. Agnese resta “stupefatta e costernata“.
Lucia dice alla madre che sono nelle mani del Signore e della Madonna e che l’unica cosa che chiede è di poter ritornare con lei, in quanto a Renzo spera e crede che il Signore perché lo abbia preservato dai pericoli.
La grazia che chiedo per me al Signore, la sola grazia, dopo la salvazion dell’anima, è che mi faccia tornar con voi: e me la concederà, sì, me la concederà.
(…)
“E Renzo?” disse Agnese, tentennando il capo.
“Ah!” esclamò Lucia, riscotendosi, “io non ci devo pensar più a quel poverino. Già si vede che non era destinato… Vedete come pare che il Signore ci abbia voluti proprio tener separati. E chi sa…? ma no, no: l’avrà preservato Lui da’ pericoli, e lo farà esser fortunato anche di più, senza di me.”
Agnese resta in silenzio pensierosa e Lucia riprendendo il discorso dice alla madre che Renzo deve essere informato di quanto accaduto, di quanto ha sofferto e che Dio ha voluto così, quindi lui deve mettersi il cuore in pace, perché lei ha fatto proprio un voto, lo ha promesso alla Madonna.
Inoltre chiede alla madre di far avere metà di quanto ricevuto dall’innominato proprio a Renzo, perché sicuramente ne avrà bisogno.
Le donne così si salutano tra
parole di lamento e di conforto, di rammarico e di rassegnazione, con molte raccomandazioni e promesse di non dir nulla, con molte lacrime, dopo lunghi e rinnovati abbracciamenti
e quindi si separano, promettendosi di rivedersi il prossimo autunno, al più tardi.
Passa molto tempo senza che Agnese abbia notizie di Renzo. Lo stesso cardinale Borromeo è impegnato nella ricerca di informazioni sul giovane.
Un giorno, tornato dalla visita a Milano, l’arcivescovo riceve una lettera nella quale si dice che non si è trovato, se non che per qualche tempo è stato ospite di un suo cugino, ma una mattina è scomparso improvvisamente e da quel giorno non si sa più nulla di lui, nemmeno il cugino che riporta voci che si rincorrevano, come che Renzo potesse essersi arruolato per il Levante, oppure emigrato in Germania o morto nel guadare il fiume.
Queste voci si spargono anche nel territorio di Lecco ed arrivano agli orecchi di Agnese, che cerca di capire quale potesse essere vera per arrivare alla fonte, ma non riesca ad andare più in là di quel che si dice. “Tutte ciarle: ecco il fatto“.
Digressione sul governatore di Milano e capitano generale in Italia, don Gonzalo Fernandez di Cordova, che
aveva fatto un gran fracasso col signor residente di Venezia in Milano, perchè un malandrino, un ladrone pubblico, un promotore di saccheggio e d’omicidio, il famoso Lorenzo Tramaglino, che, nelle mani stesse della giustizia, aveva eccitato sommossa per farsi liberare, fosse accolto e ricettato nel territorio bergamasco. Il residente avea risposto che la cosa gli riusciva nuova, e che scriverebbe a Venezia, per poter dare a sua eccellenza quella spiegazione che il caso avesse portato.
Per Venezia i lavoratori di seta milanesi erano bene accetti e certamente ad essi veniva garantita sicurezza. Così avvenne che Bortolo fosse “avvisato in confidenza, da non si sa chi, che Renzo” non era al sicuro in quel paese e che sarebbe stato meglio per lui trovare un lavoro in fabbrica e cambiare per un po’ di tempo anche il nome.
Bortolo capisce subito al volo, così informa prontamente Renzo e lo porta in calesse presso un altro filatoio, distante circa quindici miglia da dove si trovava e lo presenta come “Antonio Rivolta“.
Poco dopo il capitano di Bergamo riceve un ordine da Venezia nel quale si chiese se “nella sua giurisdizione, e segnatamente nel suo paese, si trovasse il tal soggetto“.
Il capitano effettua le verifiche del caso e trasmette risposta negativa al residente veneziano a Milano, che a sua volta informa il governatore spagnolo.
Informazioni su Renzo vengono poi rivolte a Bortolo su commissione diretta del cardinale Borromeo: lui si insospettisce e dà le stesse informazioni che aveva messo in giro.
Articolo aggiornato il 4 Ottobre 2023 da eccoLecco