I Promessi Sposi
Riassunto Capitolo 30
Nel capitolo XXIX abbiamo lasciato Agnese, don Abbondio e Perpetua sul baroccio procuratogli dal sarto per poter raggiungere più comodamente i piedi della rocca del castello dell’Innominato (vedi riassunto capitolo 29 Promessi Sposi).
Li ritroviamo subito in questo capitolo trentesimo che dal baroccio vedono lungo la valle diverse persone: “compagni di viaggi e di sventura“, con i quali i tre scambiano domande e risposte.
Don Abbondio è sempre ansioso e timoroso e si rifà alla Provvidenza, sperando che gliela mandi buona.
I tre arrivano alla Malanotte: il baroccio si ferma, don Abbondio paga il condottiere e si incammina con le due donne per la salita senza proferir parola. La vista di questi luoghi gli rinnova le angosce presenti mescolate a quelle passate. Agnese pensa invece “al viaggio spaventoso di Lucia“.
Iniziano i battibecchi tra i tre, quando don Abbondio vede venirgli incontro l’Innominato, che riverisce con “un profondo inchino“.
Il signore è contento di accoglierli anche se avrebbe preferito una “miglior occasione“:
Signor curato,” disse, quando gli fu vicino, “avrei voluto offrirle la mia casa in miglior occasione; ma, a ogni modo, son ben contento di poterle esser utile in qualche cosa.
“Confidato nella gran bontà di vossignoria illustrissima,” rispose don Abbondio, “mi son preso l’ardire di venire, in queste triste circostanze, a incomodarla: e, come vede vossignoria illustrissima, mi son preso anche la libertà di menar compagnia. Questa è la mia governante…”
Don Abbondio presenta all’Innominato la sua governante e la madre di Lucia, che lo ringrazia, ma l’Innominato tronca subito la donna chiedendo notizie di Lucia.
Una volta informato accompagna gli ospiti al castello, rassicurando don Abbondio, dicendo che le truppe non arriveranno fin lassù e che nel caso era pronto a riceverli.
Entrati nel castello il signore fa condurre Agnese e Perpetua “in una stanza del quartiere assegnato alle donne, che occupava tra lati del secondo cortile, nella parte posteriore dell’edifizio situata sur un masso sporgente e isolato, a cavaliere a un precipizio” e don Abbondio viene fatto alloggiare in una camera destinata agli ecclesiastici nel quartiere del castello dell’altro cortile.
I nostri fuggitivi restano nel castello ventitré o ventiquattro giorni in mezzo “a un movimento continuo, in una gran compagnia“.
L’Innominato tiene sotto controllo l’intera valle, quando un giorno viene informato che un paese vicino è invaso e saccheggiato. Sono lanzichenecchi di diversi corpi che si gettano sulle terre vicine a quelle dove alloggia l’esercito.
Il signore fa un discorso ai suoi uomini e li conduce al paese in questione.
I lanzichenecchi rimangono sorpresi da questo arrivo di “gente schierata e pronta a combattere” e decidono così di lasciare il saccheggio a metà ed andarsene.
L’Innominato li insegue per un pezzo di strada e sta un po’ ad aspettare per verificare se accadesse qualcosa, poi ritorna al castello e nel passare nuovamente nel paese invaso riceve applausi e benedizioni.
Agnese e Perpetua per non mangiare a sbafo il pane si impiegano nei servizi per ringraziare dell’ospitalità ricevuta e così passano la gran parte della giornata, quando invece non parlano con le amiche che si sono fatte al castello.
Don Abbondio che non aveva nulla da fare non s’annoia comunque: la paura gli tiene compagnia. In tutto il periodo in cui si trova al castello non se ne allontana mai e parla con pochissime persone, ma si sfoga spesso con Agnese e Perpetua.
(…) l’unica sua passeggiata era d’uscire sulla spianata, e d’andare, quando da una parte e quando dall’altra del castello, a guardar giù per le balze e per i burroni, per istudiare se ci fosse qualche passo un po’ praticabile, qualche po’ di sentiero, per dove andar cercando un nascondiglio in caso d’un serra serra. A tutti i suoi compagni di rifugio faceva gran riverenze o gran saluti, ma bazzicava con pochissimi (…)
A tavola, dove sta pochissimo, si interessa di ascoltare le notizie “del terribile passaggio“, che arrivano ogni giorno:
Sopra tutto si cercava d’aver informazione, e si teneva il conto de’ reggimenti che passavan di mano in mano il ponte di Lecco, perchè quelli si potevano considerar come andati, e fuori veramente del paese.
Man mano che le truppe lasciano Lecco anche i diversi fuggiaschi che avevano trovato rifugio presso il castello dell’Innominato ritornano ai propri paesi. Gli ultimi tre a lasciare il castello sono proprio loro, per volere di don Abbondio che teme di trovare ancora in giro i lanzichenecchi tornando a casa.
Il giorno fissato per la partenza l’Innominato fa trovare pronta la sua carrozza all’osteria Malanotte, nella quale aveva già fatto mettere un corredo di biancheria per Agnese, poi prende in disparte quest’ultima e le fa accettare “un gruppetto di scudi” che le potevano essere di aiuto per sistemare i danni causati dall’invasione e dal saccheggio.
Inoltre si premura con Agnese di ringraziare Lucia, appena la vede.
I tre partono, fanno una fermata nuovamente a casa del sarto e la carrozza si dirige verso il loro paese.
Durante il tragitto iniziano a vedere con i loro occhi quello che finora avevano solo sentito descrivere: vigne spogliate e viti sfrondate e distrutte, cancelli divelti, usci sfondati e rottami di ogni genere ammucchiati per strada, ai quali si unisono le zaffate di puzzo che escono dalle case:
vigne spogliate, non come dalla vendemmia, ma come dalla grandine e dalla bufera che fossero venute in compagnia: tralci a terra, sfrondati e scompigliati; strappati i pali, calpestato il terreno, e sparso di schegge, di foglie, di sterpi; schiantati, scapezzati gli alberi; sforacchiate le siepi; i cancelli portati via. Ne’ paesi poi, usci sfondati, impannate lacere, paglia, cenci, rottami d’ogni sorte, a mucchi o seminati per le strade; un’aria pesante, zaffate di puzzo più forte che uscivan dalle case; la gente, chi a buttar fuori porcherie, chi a raccomodar le imposte alla meglio, chi in crocchio a lamentarsi insieme; e, al passar della carrozza, mani di qua e di là tese agli sportelli, per chieder l’elemosina.
Con queste immagini negli occhi e con l’aspettativa di trovare lo stesso scenario a casa loro, finalmente arrivano e trovano purtroppo esattamente ciò che si aspettavano.
Agnese posa i suoi fagotti in un angolo del cortile, che è il luogo rimasto più pulito della casa e quindi inizia a pulirla e a raccogliere e sistemare le poche cose rimaste. Grazie al denaro ricevuto dall’Innominato riesce a pagare un legnaiolo e un fabbro che le riparano i danni più grandi e guardano la biancheria regalatale ringrazia Dio per essere caduta in piedi.
Don Abbondio e Perpetua entrano in casa senza bisogno delle chiavi e sentono forte il tanfo, il veleno, la peste. Si dirigono verso l’uscio della cucina, vi entrano e trovano avanzi e frammenti di quello che c’era. Nel camino vedono i segni del vasto saccheggio tutti insieme.
Faticano non poco a ripulire e disinfettare la casa e per parecchio tempo devono stare accampati in qualche modo, rifacendo poco per volta usci, mobili ed utensili grazie ai soldi prestati da Agnese. Quelli nascosti nell’orto non ci sono più: al loro posto una buca nel terreno.
Articolo aggiornato il 9 Giugno 2022 da eccoLecco