I Promessi Sposi
Riassunto Capitolo 23
In questo capitolo possiamo assistere alla conversione dell’Innominato davanti al cardinale Federigo Borromeo ed il ritorno sulle scene di don Abbondio, che il lettore non incontrava dalla notte degli imbrogli.
Dopo la tormentata notte di Lucia e dell’Innominato al castello di quest’ultimo (vedi riassunto capitolo 21 Promessi Sposi) troviamo il “signore” di mattina con il cardinale.
Il cardinale sta aspettando il momento per andare in chiesa a celebrare la messa, quando il cappellano crocifero lo informa che “il signor…” desidera incontrarlo e parlargli.
Il religioso chiude il libro col quale stava pregando e dice al cappellano di farlo entrare.
L’Innominato entra ed il cardinale gli va incontro “con un volto premuroso e sereno, e con le braccia aperte, come a una persona desiderata” e fa cenno al cappellano di uscire.
Il narratore ci descrive la scena di questo incontro sospeso, infatti i due restano a lungo senza parlare:
- l’Innominato si trova lì quasi per forza, mosso da una smania inspiegabile e
straziato da due passioni opposte, quel desiderio e quella speranza confusa di trovare un refrigerio al tormento interno, e dall’altra parte una stizza, una vergogna di venir lì come un pentito, come un sottomesso, come un miserabile, a confessarsi in colpa, a implorare un uomo: e non trovava parole, nè quasi ne cercava.
Nel guardare il cardinale si sente come penetrato da un sentimento di venerazione, l’orgoglio lascia spazio alla fiducia: tutto questo gli impone il silenzio;
- il cardinale Borromeo tiene il suo sguardo fisso e penetrante sull’Innominato per cercare di capirne i pensieri, quando ad un tratto esclama di quanto sia preziosa questa sua visita.
Ecco che i due iniziano a dialogare tra loro ed il cardinale chiede all’Innominato in modo molto diretto quale buona nuova abbia da dargli, sa che Dio gli ha toccato il cuore.
Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l’imploriate?”
(…)
Cosa può far Dio di voi? cosa vuol farne? Un segno della sua potenza e della sua bontà: vuol cavar da voi una gloria che nessun altro gli potrebbe dare.
Il cardinale coglie la crisi d’identità dell’Innominato, la fine della sua sicurezza di bandito, la coscienza della fragilità e dell’angoscia sono lo strumento più evidente che Dio si trova in lui.
Nel sentire queste parole, il volto dell’Innominato, dapprima stravolto e convulso, si fa attonito ed intento, poi si commuove e dai suoi occhi sgorgano lacrime, lacrime che non conosceva più dalla sua infanzia.
Al termine del discorso del cardinale, l’Innominato si copre il viso con le mani e scoppia in un pianto a dirotto. Ecco il segno oggettivo della sua conversione.
Il cardinale poi stende la sua mano per prendere quella dell’Innominato e riprende la parabola evangelica della pecorella smarrita, quindi allunga le sue braccia al collo dell’Innominato, il quale contraccambia l’abbraccio.
Ecco l’esplicito riconoscimento del nuovo Innominato, del nuovo io, che si riconosce e comprende chi è:
L’innominato, sciogliendosi da quell’abbraccio, si coprì di nuovo gli occhi con una mano, e, alzando insieme la faccia, esclamò: “Dio veramente grande! Dio veramente buono! io mi conosco ora, comprendo chi sono; le mie iniquità mi stanno davanti; ho ribrezzo di me stesso; eppure…! eppure provo un refrigerio, una gioia, sì una gioia, quale non ho provata mai in tutta questa mia orribile vita!”
L’Innominato quindi racconta brevemente “la prepotenza fatta a Lucia, i terrori, i patimenti della poverina“.
Il cardinale gli risponde che non c’è tempo perdere e chiede da quale paese venisse la giovane e il signore nomina il paese di Lucia.
Il religioso chiama il cappellano invitandolo a chiedere se tra i parroci presenti ci fosse quello della chiesa in cui si trovava e quello della giovane.
Alla domanda di questo, risponde con un “io?” in modo quasi tragicomico don Abbondio. Si stupisce che cerchino proprio lui, il suo volto è “attonito e disgustato“.
I due parroci vengono introdotti nella stanza dove si trovano il cardinale e l’Innominato.
Il cardinale lascia la mano dell’Innominato e chiama a sé il curato della chiesa: gli spiega la situazione e gli chiede di trovare subito una donna che volesse andare al castello a prendere Lucia, chiede al cappellano di preparare la lettiga e i lettighieri e di far sellare due mule, quindi si rivolge a don Abbondio:
ho una buona nuova da darvi, e un consolante, un soavissimo incarico. Una vostra parrocchiana, che avrete pianta per ismarrita, Lucia Mondella, è ritrovata, è qui vicino, in casa di questo mio caro amico; e voi anderete ora con lui, e con una donna che il signor curato di qui è andato a cercare, anderete, dico, a prendere quella vostra creatura, e l’accompagnerete qui.
Don Abbondio è amareggiato, affannato, ma non può far altro che obbedire.
Viene anche mandato un uomo a chiamare Agnese.
Il cardinale esce dalla stanza dove restano “i due compagni di viaggio“: l’Innominato non vede l’ora di essere al castello per liberare Lucia, don Abbondio invece ha paura al solo pensiero di dover andare con quell’uomo.
Stava l’innominato tutto raccolto in sè, pensieroso, impaziente che venisse il momento d’andare a levar di pene e di carcere la sua Lucia: sua ora in un senso così diverso da quello che lo fosse il giorno avanti: e il suo viso esprimeva un’agitazione concentrata, che all’occhio ombroso di don Abbondio poteva facilmente parere qualcosa di peggio.
La lettiga e le mule sono pronte. I due si mettono in viaggio verso il castello dell’Innominato ed inizia il soliloquio di don Abbondio: i suoi timori e le sue riflessioni.
Sembra che i santi e i birboni ce l’abbiano sempre con lui, che desidera solo stare tranquillo. Poi don Rodrigo, che potrebbe fare la bella vita, invece molesta le femmine. Quindi il suo pensiero si rivolge all’Innominato che anche per convertirsi ha fatto “fracasso” ed al cardinale che secondo il curato dovrebbe mostrare maggior prudenza. Infine Lucia, per la quale prova compassione, ma della quale pensa che sia nata per essere la sua rovina.
L’Innominato è pensieroso, ma “ringiovanito nella nuova vita” si eleva a “quell’idee di misericordia, di perdono e d’amore“.
Entrano nella valle, fanno la salita, sono in cima.
L’Innominato dice alla donna, che era nella lettiga, di andare da Lucia a consolarla e farle capire subito “che è libera, in mano di amici“, poi si rivolge a don Abbondio ringraziandolo.
Tutti e tre salgono in silenzio a liberare Lucia.
Articolo aggiornato il 4 Ottobre 2023 da eccoLecco