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Manzoni vero storico vero poetico lettera monsieur Chauvet

Vero storico e vero poetico
La lettera di Manzoni a M. Chauvet

La sperimentazione di Alessandro Manzoni attraversa diversi generi letterari: dalla lirica alla tragedia in versi fino alla prosa narrativa.
L’evoluzione manzoniana si presenta come passaggio:

  • dalle forme neoclassiche (influenzate dallo stile e nei temi da Parini, Alfieri, Monti e Foscolo) ai generi prediletti dai romantici
  • da una lingua e repertorio di motivi e figure legati alla tradizione dotta a una materia (la storia) e a una soluzione linguistica (il fiorentino parlato dalle classi colte) che favorivano la comunicazione con un pubblico allargato

Sappiamo che Manzoni perviene alla stesura definitiva dei Promessi Sposi dopo una revisione del Fermo e Lucia, per passare alla Ventisettana e quindi all’ultima e definita versione della Quarantana. La genesi del romanzo riflette il suo percorso di ricerca al fine di poter avere un romanzo storico, dove il realismo storico si intrecciasse alla favola per raccontare e rappresentare la condizione di una determinata società, nel nostro caso la società lombarda del Seicento.

La lettera a Monsieur Chauvet

La Lettre à Monsieur Chauvet sur l’unité de temps et de lieu dans la tragedie fu scritta da Manzoni come replica alla recensione al Conte di Carmagnola apparsa sulla rivista “Lyceé Français” nel maggio 1820 firmata proprio dal poeta e drammaturgo francese Jean Joachin Victor Chauvet.
In questa recensione il giovane letterato, pur valutando positivamente la tragedia, esprimeva qualche riserva sulla tragedia di Manzoni in quanto non erano rispettate le “unità di tempo e di luogo” tradizionali aristoteliche.

Manzoni gli risponde due mesi dopo, ma la sua lettera scritta direttamente in francese, viene pubblicata solo nel 1823 in appendice proprio al Conte di Carmagnola ed all’Adelchi.
L’autore spiega puntualmente le motivazioni che lo hanno portato, nella stesura delle sue tragedie, ad abbandonare le unità stabilite da Aristotele.

Che cosa ci dà la storia? Degli eventi che non sono, per così dire, conosciuti che dall’esterno.

Ecco che Manzoni intende sottolineare come lo storico si limita a riportare i fatti così come accadono alla loro superficie.

Manzoni precisa che prima di esaminare la regola dell’unità di tempo e luogo nei suoi rapporti con l’unità di azione, sarebbe corretto specificare cosa si intende per unità di azione:

  • sicuramente non si intende la rappresentazione di un fatto, semplice e isolato
  • ma anche la rappresentazione di una serie di eventi collegati tra loro

Quindi si chiede se questo legame tra diversi eventi, che nel suo insieme riconduce ad una singola azione, sia arbitrario o meno e conviene che non è assolutamente arbitrario, altrimenti l’arte non avrebbe più un fondamento nella natura e nella verità. Quindi questo legame esiste ed è nella natura stessa della nostra intelligenza.
La mente umana è in grado di cogliere i nessi esistenti tra gli avvenimenti, i rapporti di anteriorità e posteriorità, di causa ed effetto.
Il poeta sceglie gli avvenimenti più strettamente vincolati tra loro grazie a questi rapporti e li mette in scena, dando allo spettatore l’impressione di un’azione unica, o meglio, di un’azione centrale attorno alla quale tutte le altre vengono a raggrupparsi. L’unità d’azione, quindi, nella visione manzoniana non significa scegliere, come nella regola classica, un unico avvenimento della durata di ventiquattro ore, bensì optare per una concatenazione di eventi legati tra di loro.

Bisogna infine che l’azione sia una: ma esiste realmente tale unità nella natura dei fatti storici? Non vi esiste in maniera assoluta, perché nel mondo morale, come nel mondo fisico, ogni esistenza è a contatto con altre, si complica con altre esistenze; ma vi esiste in maniera approssimativa; che tuttavia è sufficiente allo scopo che il poeta si propone, e gli serve come punto di riferimento nel suo lavoro. Che cosa fa dunque il poeta? Trasceglie, nella storia, alcuni avvenimenti interessanti e drammatici, i quali siano così profondamente legati l’uno all’altro, e lo siano così debolmente con ciò che li ha preceduti e seguiti, che la mente, vivamente colpita dal loro reciproco rapporto […] vivamente si applichi a cogliere tutta l’estensione, tutta la profondità del rapporto che li unisce, a individuarne il più nettamente possibile le leggi di causa e di effetto che li governano.

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Qual è il compito dello storico?

Lo storico deve riportare ad un unico punto di vista i diversi fatti separati dalle unità di tempo e luogo, respingendo gli i fatti che sono solo coincidenze accidentali.
Si può dire che lo storico debba mettere in ordine i fatti per arrivare ad una visione unitaria, tralasciando tutto ciò che non è rilevante con i fatti più importanti.
Per farlo si avvale della rapidità di pensiero, avvicinando i fatti il più possibile, presentandoli nell’ordine più semplice perché la mente riesca a comprenderli.
Ma lo storico si limita a presentarci i fatti per la loro essenza, per come sono in superficie.

Qual è il compito del poeta?

Il poeta non deve in alcun modo inventare i fatti perché la storia già offre gli eventi importanti e significativi, degni di essere raccontati.
Al poeta viene richiesto di penetrare la superficie dei fatti. Il poeta ha il compito di intuire e ricostruire quanto la memoria storica non tramanda nei documenti: rivelare la parte di storia andata perduta, ovvero penetrare con l’immaginazione e la simpatia nelle volontà e nei sentimenti degli uomini passati, nelle interiorità delle loro coscienze.
Manzoni affida alla poesia un carattere etico: il poeta deve andare oltre la superficie degli avvenimenti per coglierne il segreto divino e quindi quella verità che sfugge allo storico.

Ma, si dirà forse, se si toglie al poeta ciò che lo distingue dallo storico, cioè il diritto di inventare i fatti, che cosa gli resta? Che cosa gli resta? la poesia; sì, la poesia. Perché infine che cosa ci dà la storia? degli eventi che non sono, per così dire, conosciuti che dall’esterno; ciò che gli uomini hanno fatto; ma ciò che hanno pensato, i sentimenti che hanno accompagnato le loro decisioni e i loro progetti, i loro risultati fortunati e sfortunati, i discorsi coi quali hanno fatto o cercato di fare prevalere la loro passione e la loro volontà su altre passioni o altre volontà, per mezzo dei quali hanno espresso la loro collera, effuso la loro tristezza, in una parola hanno rivelato la loro individualità: tutto questo e qualcos’altro ancora è passato sotto silenzio dagli storici; e tutto questo è dominio della poesia.[…] Tutto ciò che la volontà umana ha di forte e misterioso, tutto ciò che la sventura ha di religioso e di profondo, il poeta può indovinarlo, o, per dir meglio, può vederlo, comprenderlo ed esprimerlo.

Non cercando di sommuovere nelle anime calme le tempeste delle passioni, il poeta esercita il suo massimo potere. Facendoci discendere in esse, egli ci smarrisce e rattrista.

Facendoci assistere ad avvenimenti che non ci interessano come attori, nei quali noi non siamo che testimoni, può aiutarci a prendere l’abitudine di fissare il nostro pensiero su quelle idee calme e grandi che si cancellano e si dileguano addirittura nell’urto delle realtà quotidiane della vita, e che, se fossero più presenti, salverebbero sicuramente la nostra salvezza e la nostra dignità.

Qual è il ruolo della poesia?
Ci può essere poesia in un romanzo?

Storia e poesia possono coesistere perché:

  • la storia ci mette a disposizioni fatti ed avvenimenti realmente accaduti
  • la poesia li deve saper leggere ed analizzare, andando in profondità per scoprirne l’essenza e l’aspetto interiore che ha mosso gli uomini ad agire in tal modo.

L’essenza della poesia non consiste nell’inventare fatti (…) Infatti non c’è nulla di più comune delle creazioni di questo genere; invece tutti i grandi monumenti della poesia hanno per base avvenimenti dati dalla storia o, che è lo stesso a questo riguardo, che sono stati un tempo considerati storia.

Ma obietterà qualcuno, se si toglie al poeta ciò che lo distingue dallo storico, cioè il diritto di inventare fatti, cosa gli resta? Cosa gli resta? La poesia; sì, la poesia. Perché, in sostanza, cosa ci dà la storia?Avvenimenti noti, per così dire, solo esteriormente; ciò che gli uomini hanno fatto; ma ciò che hanno pensato, i sentimenti che hanno accompagnato le loro deliberazioni e i loro progetti, i loro successi e insuccessi, i discorsi con i quali hanno fatto e cercato di far prevalere le loro passioni e le loro volontà su altre passioni e altre volontà, con i quali hanno espresso la loro collera, effuso la loro tristezza, con i quali in una parola, hanno manifestato la loro individualità, tutto ciò, tranne pochissimo, è passato sotto silenzio dalla storia, e tutto ciò forma il dominio della poesia.

Manifestare ciò che gli uomini hanno sentito, voluto e sofferto, mediante ciò che hanno fatto, in questo consiste la poesia drammatica; creare fatti per adattarvi dei sentimenti, è il  grande compito dei romanzi.

(…) ci sono dei romanzi che meritano di essere considerati modelli di verità poetica; e sono quelli i cui autori, dopo aver preso atto, in modo preciso e sicuro, dei caratteri e dei costumi, hanno inventato, per poter rappresentare tali caratteri e tali costumi, azioni e situazioni conformi a quelle che si verificano nella vita reale (…).

(…) lo scoglio del genere romanzesco è rappresentato dal falso. Il pensiero degli uomini si manifesta con maggiore o minore chiarezza attraverso le loro azioni e i loro discorsi; ma anche quando si parte da questa larga e solida base raramente si giunge alla verità nella rappresentazione dei sentimenti umani.

(…) ed è la difficoltà di separare la prima [un’idea chiara, semplice e vera] dalle seconde [cento idee] che sono oscure, forzate o false che rende così esiguo il numero dei buoni poeti.

(…) ma è difficile seguire questi indizi: che cosa accadrà poi se li si trascura e li si disprezza? E’ questo l’errore che commettono, inventando i fatti, la maggior parte dei romanzieri (…) La verità è sfuggita loro più spesso che a quelli che si sono tenuti più vicini alla realtà

(…) Di conseguenza l’epiteto di romanzesco è stato designato ad indicare generalmente, per quel che riguarda i sentimenti e i costumi, quel tipo particolare di falsità, quel tono artificioso, quei tratti convenzionali che contraddistinguono i personaggi dei romanzi.

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Fonte: Lettre à Monsieur Chauvet, testo integrale in francese

Articolo aggiornato il 8 Giugno 2022 da eccoLecco

I Promessi Sposi romanzo / Tags: Promessi Sposi

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