La peste di Camus ai tempi del Corona virus
Devo ammettere in estrema sincerità che conoscevo l’autore, Albert Camus, ma non ho mai letto alcun suo libro. Per me la peste è quella di manzoniana memoria e da lecchese si può anche facilmente capire il maggior attaccamento affettivo.
Ascoltando commenti diversi all’emergenza creata dal Corona virus, da più persone ho sentito nominare che la situazione che stiamo vivendo è quasi una trasposizione in realtà di quanto ha raccontato Camus nel suo romanzo “La peste“, allora la mia curiosità mi ha spinto ad acquistare il libro, rigorosamente stando a casa ed inviandomelo sul kindle.
Indico subito che l’autore lo ha scritto nel 1947.
Nel romanzo, tramite la cronaca del dottor Rieux, che assiste i malati ed interagisce con pochi altri personaggi, viviamo la scoperta della peste nella cittadina di Orano in Algeria, avvenuta nell’aprile del 194… assistendo alla moria di un gran numero di topi in città. I topi vivono nel sottosuolo, non si vedono, invece qui si trovano per strada, nelle scale.
Cosa sta succedendo?
Mi hanno colpito alcuni tratti del romanzo nella sua parte iniziale che riporto e servono poi per riflettere, quanto meno a me hanno fatto riflettere.
Un modo facile per conoscere una città è scoprire come vi si lavora, come si ama e come si muore. A Orano (…) tutto questo si fa allo stesso modo, con la medesima aria frenetica e assente. In definitiva, ci si annoia, e ci si sforza di prendere delle abitudini. I nostri concittadini lavorano molto, ma sempre per arricchirsi. Si dedicano principalmente al commercio e pensano soprattutto, come dicono loro, a fare affari.
Orano è una città priva di intuizioni, cioè una città assolutamente moderna.
Quel che occorreva sottolineare era l’aspetto insignificante della città e della vita. Se però si hanno delle abitudini, le giornate trascorrono senza problemi. E dal momento che la nostra città incoraggia per l’appunto le abitudini, possiamo dire che ogni cosa va per il meglio.
L’autore ci dipinge il quadro di una città che potrebbe essere tranquillamente la nostra, dove le giornate si susseguono ed ognuno di noi è impegnato a fare il suo, in modo quasi abitudinario, quasi distaccato dalla realtà vera, sebbene ci sembri di essere soggetti sempre attivi e presenti.
Quando il motore si ferma cosa succede?
Si immagini allora lo sbalordimento della nostra cittadina, fino a quel momento così tranquilla, messa in pochi giorni sottosopra alla stregua di un uomo in perfetta salute che si ritrovasse d’un tratto con il sangue in subbuglio.
Ci si rendeva conto che quel fenomeno di cui non si poteva ancora né misurare la portata né individuare l’origine aveva qualcosa di minaccioso.
Non è forse quanto sta accadendo a noi? Da quando ci hanno comunicato per la prima volta che a Codogno era scoppiato un focolaio di corona virus, si è scatenato il panico generale: supermercati assaliti, scaffali vuoti, quasi come se stesse per scoppiare una guerra. L’informazioni si è fatta serrata e variegata, tanto da non capire più quanto fosse potente questo virus, cosa si potesse fare, cosa no.
Sta di fatto che oggi, 13 marzo 2020, tutta l’Italia si trova in quarantena per limitare al massimo il contagio. Ma è interessante vedere come le informazioni abbiano generato nelle persone paura, panico, voglia di fuggire. E questa voglia di fuggire dal virus oppure di evasione porta con sé un morbo invisibile, che però si espande. I numeri crescono in maniera esponenziale.
Si possono visualizzare sulla mappa online del Dipartimento della Protezione civile al seguente link: è già sufficiente vedere la curva che cresce rapidamente e non sappiamo a che punto della diffusione ci troviamo, quindi #stiamoacasa, proteggiamo noi e gli altri. Atteniamoci scrupolosamente alle disposizioni ministeriali.
In pochi giorni i casi mortali si moltiplicarono e coloro che si occupavano di questa malattia singolare si resero conto che si trattava di una vera e propria epidemia.
Questo corona virus ci è capitato così tra capo e collo mentre il mese di febbraio volgeva quasi al termine e in Italia impazzava il carnevale. La follia sana del carnevale.
(…) tutti stentiamo a credere ai flagelli quando ci piombano addosso. Nel mondo ci sono sempre state tante epidemie di peste quante guerre. Eppure la peste e la guerra colgono sempre tutti alla sprovvista. Era stato colto alla sprovvista il dottor Rieux, come lo erano stati i nostri concittadini, e questo spiega le sue titubanze.
Abbiamo vissuto il primo periodo tra alcune misure restrittive e analisi del caso. Non era così chiaro.
Altri sono morti – osservò Rieux -. Ed è ovvio che il contagio non è mai assoluto, altrimenti si avrebbe una crescita matematica infinita e uno spopolamento fulmineo. Non si tratta di dipingere un quadro troppo nero. Si tratta di prendere delle precauzioni.
Non è una questione di parole, è una questione di tempo.
Inizialmente abbiamo continuato a svolgere normalmente la nostra vita, come se il Corona virus fosse lontano, non ci toccasse da vicino.
Da questo momento si può dire che la peste ci riguardò tutti. Finora, nonostante la sorpresa e la preoccupazione suscitate da questi eventi straordinari, ognuno dei nostri concittadini aveva continuato come poteva a dedicarsi alle proprie occupazioni, al proprio posto. E così doveva senz’altro essere in seguito. Ma dopo che furono chiuse le porte, tutti si accorsero, compreso il narratore, di essere sulla stessa barca e di doversene fare una ragione. Così, per esempio, un sentimento privato quale la separazione da una persona amata divenne improvvisamente, sin dalle prime settimane, quello di un’intera popolazione e, insieme con la paura, il principale motivo di sofferenza di quel lungo periodo di esilio.
Ecco la situazione che stiamo vivendo noi adesso, in questi giorni, chiusi nelle nostre case, lontani dagli affetti familiari, dai nostri amici e colleghi di lavoro. Ognuno nel suo microcosmo. Fa strano. Sembra surreale. Il silenzio è il comune denominatore. Il tempo sembra dilatato. Sembriamo sospesi in una realtà che non è la nostra. Ci viene in mente il passato, vorremmo essere già nel futuro.
Sì, era proprio il sentimento dell’esilio il vuoto che sentivamo sempre dentro di noi, l’emozione precisa, il desiderio irragionevole di tornare indietro o invece di affrettare la corsa del tempo, i morsi brucianti della memoria.
Sapevamo allora che la nostra separazione era destinata a durare e che dovevamo imparare a scendere a patti con il tempo. Da quel momento ritrovavamo insomma la nostra condizioni di prigionieri, confinati nel passato.
Ma la speranza non deve mai venire meno e troviamo una parola tanto cara al Manzoni anche qui: la Provvidenza.
(…) bisognava sempre sperare, i disegni della Provvidenza sono imperscrutabili.
Stiamo vivendo tutti la stessa storia, da Nord a Sud accomunati dall’emergenza Corona virus, nessuno è diverso, siamo tutti uguali. Dobbiamo restare uniti, sebbene distanti.
(…) si poteva dire che la peste aveva sommerso tutto. Così non c’erano più destini individuali, ma una storia comune costituita dalla peste e sentimenti condivisi da tutti. Il più forte era quello della separazione e dell’esilio, con tutto ciò che comportava in termini di paura e rivolta.
Nel romanzo di Camus si parla di ospedali pieni, al limite del funzionamento, si creano campi e si cercano volontari. Rispecchia la situazione attuale, dove i posti letti di terapia intensiva sono insufficienti, se ne creano di nuovi utilizzando spazi fruiti diversamente prima.
La criticità della situazione per noi che stiamo a casa non è forse così evidente, ma basta ascoltare gli operatori socio-sanitari ed i medici che hanno le lacrime agli occhi e stanno svolgendo il loro lavoro come vera e propria missione.
Ad Orano ci sono voluti molti mesi per potere dire che la peste era passata, a noi quanti ne serviranno?
Lo sconosciuto fa sempre paura, perché non abbiamo gli strumenti per affrontarli e la prima reazione è la paura, ma la paura non deve essere il nostro compagno in questi giorni. Dobbiamo essere fiduciosi nella scienza, nei nostri ricercatori italiani, in tutto lo staff sanitario nazionale, e dobbiamo soprattutto essere consapevoli che siamo noi in primis il soggetto che può aiutare a sconfiggere nel più breve tempo possibile il Corona virus.
E questo tempo forzato e di chiusura che ci è imposto serve a tutti per capire molte cose: su noi stessi come persona, sui nostri rapporti interpersonali, sulle modalità di lavorare e sull’economia, sulla caducità della vita e sulla nostra incapacità in tempi normali di prestare attenzione al tempo e alla grande risorsa che è.
Sempre di corsa, sempre indaffarati per rispettare tempi, scadenze, appuntamenti. Il tempo… ti accorgi quanto è prezioso quando ti fermi. Il tempo va riempito e va riempito bene.
Credo che questa sia l’occasione per tutti di capirci di più e capire l’importanza del tempo e delle nostre relazioni, qualsiasi esse siano.
L’unica cosa che mi interessa – gli ho detto – è trovare la pace interiore.
Articolo aggiornato il 3 Luglio 2020 da eccoLecco