I Promessi Sposi
Riassunto Capitolo 27
Nel capitolo ventisei dei Promessi Sposi abbiamo visto che Renzo è stato costretto a cambiare identità e trasferirsi in un’altra città, lasciando il paese del cugino Bortolo perché gli è giunta voce che lo stanno cercando, e lo stesso capitolo finisce con il narratore che ci parla del governatore spagnolo di Milano, don Gonzalo Fernandez di Cordova, impegnato in altre faccende anziché pensare davvero a Renzo e alla sua ricerca (vedi riassunto capitolo 26 Promessi Sposi).
Il capitolo 27 infatti si allaccia al precedente con una digressione storica sulla guerra di successione in atto per Mantova ed il Monferrato (1628 – 1631), già menzionata nel romanzo nel capitolo 5 mentre don Rodrigo era a tavola con i suoi commensali e nei giorni del tumulto a Milano (cap. 12 e 13).
Il 26 dicembre 1627 muore Vincenzo Gonzaga, ultimo duca della linea diretta ed il suo successore diventa Carlo Gonzaga, “capo d’un ramo cadetto trapiantato in Francia“.
La corte di Madrid però vuole escludere questi due feudi a Carlo Gonzaga e l’unico modo è scatenare una guerra con giuste motivazioni e don Gonzalo è voglioso di condurne una in Italia, dopo quella nelle Fiandre.
Ma dopo l’assedio di Casale non sono tutte rose e fiori e non ha il supporto che si aspetta dalla corte, fintanto che un giorno la sua attenzione viene catturata dalla notizia che “a Venezia avevano alzato la cresta, per la sommossa di Milano“. La parentesi di Renzo e della sua ricerca lo disturba un po’, ma poi di lui don Gonzalo non se ne cura più.
E così ci viene introdotto Renzo, divenuto Antonio Rivolta. Vediamo dove si trova, cosa fa.
Renzo continua a nascondersi, ma desidera mettersi in contatto con Lucia ed Agnese ma ci sono due “gran difficoltà“: non è capace di scrivere e quindi deve trovare qualcuno che lo faccia al posto suo, ma non è facile trovare persone fidate, la seconda era individuare un corriere che potesse compiere la consegna.
Cerca e ricerca trova la persona che scrive per lui e non sapendo se le due donne siano ancora a Monza, decide di accludere la sua lettera per Agnese ad un’altra per padre Cristoforo. La missiva viene consegnata al convento, ma Renzo non riceve risposta.
Sappiamo che padre Cristoforo era stato allontanato e mandato a Rimini – vedi riassunto capitolo 18.
Allora Renzo scrive un’altra lettera per Agnese, allegata ad una per un suo amico di Maggianico.
Questa volta Agnese riceve la lettera che si fa leggere e spiegare dal cugino Alessio, con il quale poi concerta una risposta per Renzo, indirizzata ad “Antonio Rivolta nel luogo del suo domicilio“.
Così nasce “tra le due parti un carteggio, né rapido né regolare, ma pure, a balzi e ad intervalli, continuato“.
Dopo una digressione sul narratore sulla situazione in quel tempo in merito all’analfabetismo, il narratore ci dice il contenuto delle due lettere.
La prima conteneva molti argomenti: il racconto della fuga, un ragguaglio delle circostanze attuali con “avviso segreto, cambiamento di nome, esser sicuro, ma dovere star nascosto“, poi domande su Lucia con alcuni cenni oscuri e dolenti di voci arrivate fino a lui.
Agnese dopo un po’ di tempo trova un mezzo fidato per far pervenire a Renzo una risposta con i cinquanta scudi decisi da Lucia.
Renzo nel vedere tanto oro non sa a cosa pensare, ma tra l’agitazione e la meraviglia va a cercare il segretario perché possa leggergli la lettera: Agnese si lamenta della poca chiarezza di Renzo nella sua missiva e poi descrive con altrettanta poca chiarezza la storia dell’Innominato e quindi il perché degli scudi e quindi poi parla del voto, ma in modo indiretto e poco chiaro, dicendogli di mettersi il cuore in pace e non pensarci più.
Renzo trema, inorridisce, si infuria. Si fa rileggere il “terribile scritto” tre o quattro volte. Vive una febbre di passioni e vuole rispondere subito, così detta al segretario dapprima parole di pietà e terrore per Lucia, quindi:
scrivete,” (…) “che io il cuore in pace non lo voglio mettere, e non lo metterò mai; e che non son pareri da darsi a un figliuolo par mio; e che i danari non li toccherò; che li ripongo, e li tengo in deposito, per la dote della giovine; che già la giovine dev’esser mia; che io non so di promessa; e che ho ben sempre sentito dire che la Madonna c’entra per aiutare i tribolati, e per ottener delle grazie, ma per far dispetto e per mancar di parola, non l’ho sentito mai; e che codesto non può stare; e che, con questi danari, abbiamo a metter su casa qui; e che, se ora sono un po’ imbrogliato, l’è una burrasca che passerà presto;
Agnese riceve la lettera e risponde e prosegue il carteggio tra i due.
Lucia viene a conoscenza, tramite la mamma, che Renzo è vivo e sta bene, prova un grande sollievo e spera in cuor suo che si dimentichi presto di lei.
Sappiamo che Lucia è ospite da donna Prassede e passa le sue giornate a lavorare, occupando così la mente, anche se l’immagine di Renzo le compare spesso ed ogni volta lei prega o canta per rimuoverla.
Donna Prassede con il suo intento di fare del bene e strafare anche, desidera che Lucia dimentichi quel “scapestrato”, “rompicollo”, ma Lucia prontamente le spiega che Renzo è sempre stato ben voluto in paese e lo difende sulle avventure di Milano.
Lucia non prova astio nei confronti dell'”acerba predicatrice“, però le rimane addosso “un ribollimento, una sollevazione di pensieri e d’affetti tale” che ci vuole “molto tempo e molta fatica per tornare a quella qualunque calma di prima“.
Digressione sulla figura intellettuale di don Ferrante, marito di donna Prassede.
Articolo aggiornato il 9 Giugno 2022 da eccoLecco