Don Abbondio e i bravi: un incontro che determina l’inizio della storia d’amore de I Promessi Sposi
Don Abbondio e i bravi: incontro al tabernacolo
Proprio dall’incontro tra l’intimorito Don Abbondio e i bravi prende vita e si snoda la storia d’amore tormentata dei Promessi Sposi tra Renzo e Lucia.
Quando si incontrano? Il 7 novembre 1628. Proprio questa è la data dal quale prende il via il romanzo.
Alessandro Manzoni descrive il percorso di don Abbondio verso casa, ed è come se noi camminassimo con lui per una strada diritta, che ad un certo punto si biforca: sulla destra la strada che porta al monte Resegone, a sinistra la strada che scendeva nella valle, caratterizzata dalla presenza di un muretto.
Le due vie si congiungevano con un tabernacolo, raffigurante figure serpeggianti, fiamme, anime del purgatorio. Proprio qui vicino il curato fa l’incontro che determina il nascere della storia descritta dal Manzoni.
La stradicciola che percorre Don Abbondio si può identificare con la stradina a sinistra, che sale dall’attuale rotonda in Viale Montegrappa verso il rione di Acquate.
Il tabernacolo menzionato da Manzoni si trova in via Tonio e Gervaso: è stato ricostruito e non ospita alcuna raffigurazione pittorica. Una targa a lato ripercorre il testo manzoniano.
La via Tonio e Gervaso è percorribile anche in discesa, a 10 m dalla chiesa di don Abbondio di Acquate, da non confondere con la via denominata “salita de’ i bravi”.
Immagine di copertina: © eccoLecco
Bozza illustrazione per l’edizione dei Promessi Sposi del 1840, Biblioteca Braidense
Cap. I
Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio, curato d’una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l’altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l’indice della mano destra, e, messa poi questa nell’altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all’intorno, li fissava alla parte d’un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora. Aperto poi di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio, giunse a una voltata della stradetta, dov’era solito d’alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e così fece anche quel giorno. Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia d’un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura: l’altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che all’anche del passeggiero. I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell’intenzion dell’artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir fiamme; e, alternate con le fiamme, cert’altre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e là. Il curato, voltata la stradetta, e dirizzando, com’era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non s’aspettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano, l’uno dirimpetto all’altro, al confluente, per dir così, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l’altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. L’abito, il portamento, e quello che, dal luogo ov’era giunto il curato, si poteva distinguer dell’aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione. Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull’omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d’un taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d’ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de’ bravi.
Articolo aggiornato il 8 Giugno 2022 da eccoLecco
Tabernacolo dei bravi Via Tonio e Gervaso – 23900 Lecco