I Promessi Sposi
Riassunto Capitolo 33
Nel capitolo XXII abbiamo visto l’imperversare della peste a Milano e il cardinale Borromeo che organizza la processione con le spoglie di San Carlo andando così a dare un’ulteriore spinta allo spargersi della stessa.
Durante l’epidemia di peste, in una notte di fine agosto Don Rodrigo torna a Milano accompagnato dal suo servo Griso.
Dopo una serata trascorsa con gli amici, camminando sente un malessere e fiacchezza alle gambe, il respiro si fa lento, sintomi che attribuisce al vino e al caldo. Non proferisce parola per tutto il tragitto.
Arrivati a casa, il Griso osserva che il volto del suo padrone è “stravolto, acceso, con gli occhi in fuori, e lustri lustri“, ma don Rodrigo cerca di convincere se stesso e il Griso che sta bene, dicendogli di aver bevuto troppo ed invita il servitore a mettersi vicino a lui semmai avesse bisogno di qualcosa, e di lasciargli il lume acceso. Ma il servo, preoccupato dal contagio, gli augura buona notte e se ne va via in fretta.
Don Rodrigo sente caldo e al pensiero della bisboccia e degli stravizi compiuti si affianca sempre più l’idea della peste.
Dopo un lungo rivoltarsi finalmente si addormenta ed inizia “a fare i più brutti e arruffati sogni del mondo“.
In uno di essi, si vede in chiesa circondato da persone ammalate con “macchie e bubboni“, tra le quali cerca di farsi largo senza toccarle e strepita tutto affannato fintanto che vede la gente rivolgersi verso uno stesso punto: dal pulpito vede spuntare “una testa pelata, poi due occhi, un viso, una barba lunga e bianca, un frate ritto, fuor del parapetto della cintola, fra Cristoforo“.
A don Rodrigo pare che lo sguardo di padre Cristoforo si fermi su lui alzando insieme la mano, proprio come fece nel suo palazzotto (vedi riassunto capitolo 6), allora alza anche lui la mano in furia per cercare di acchiappare il braccio teso del frate, ma scoppia in un grande urlo e si sveglia.
La luce del giorno prende il posto della candela e la chiesa, il frate e il popolo non ci sono più, tutto è sparito.
Don Rodrigo riconosce la sua camera ed il suo letto e sente un forte dolore alla parte sinistra e al contempo “una palpitazione violenta, affannosa, negli occhi un ronzio, un fischio continuo, un fioco di dentro, una gravezza in tutte le membra, peggio di quando era andato a letto“.
Esita prima di guardare la parte che gli duole, fino a che la scopre e gli dà “un’occhiata paurosa“: vede “un sozzo bubbone d’un livido paonazzo“.
L’uomo si sente perduto, il terrore della morte lo pervade e con esso il terrore di divenire preda dei monatti e di essere portato al lazzaretto. I suoi pensieri di confondono ed oscurano e capisce che si sta avvicinando il momento in cui la disperazione sarà l’unica sorte.
Così afferra il campanello e lo scuote con violenza. Ecco che compare subito il Griso, a debita distanza: lo guarda e si accerta di quanto aveva congetturato la sera prima.
Don Rodrigo, cercando rinnovata fiducia nel Griso, gli ordina di andare a prendere il medico Chiodo e condurlo lì a casa, che è noto per non denunciare i malati di peste in cambio di denaro. Il Griso esce di casa, e Don Rodrigo rimane solo e conta il tempo. Ogni tanto guardo il suo bubbone ma prontamente volta la testa dall’altra parte.
Dopo un pò, tutto ad un tratto, sente uno squillo, sempre più forte e ripetuto: non viene dalla strada, ma dalle stanze.
“Sta attento; lo sente più forte, più ripetuto, e insieme uno stropiccìo di piedi: un orrendo sospetto gli passa per la mente. Si rizza a sedere, e si mette ancor più attento; sente un rumor cupo nella stanza vicina, come d’un peso che venga messo giù con riguardo; butta le gambe fuor del letto, come per alzarsi, guarda all’uscio, lo vede aprirsi, vede presentarsi e venire avanti due logori e sudici vestiti rossi, due facce scomunicate, due monatti, in una parola; vede mezza la faccia del Griso che, nascosto dietro un battente socchiuso, riman lì a spiare”.
Nella camera di don Rodrigo entrano due monatti, mentre il Griso resta per metà nascosto dietro il battente della porta e si sente tutte le urla del suo padrone che gli dà del “traditore infame” ed aggiunge di essere stato assassinato. Don Rodrigo allunga la mano sotto il cuscino ed afferra la pistola, ma i monatti alle sue prima grida si sono già avvicinati al letto standogli addosso e strappandogli di mano la pistola.
Uno dei monatti si mette a scassinare la serratura di uno scrigno e quando il Griso vede, li aiuta. Poi mettono don Rodrigo su una barella e lo portano via.
Prima di lasciare la casa con il bottino, Griso, che era stato ben attento nel non avvicinarsi ai monatti prende i vestiti del suo padrone, li scuote per vedere si fosse altro, senza pensare alla peste.
Il giorno dopo capisce, quando sente brividi, gli occhi gli si abbagliano e le forze gli vengono meno. Abbandonato dai compagni viene preso dai monatti e portato al lazzaretto ma muore, stroncato dalla peste durante il trasporto.
Il narratore ora passa alla storia di Renzo, che si è nascosto nel Bergamasco al nuovo filatoio con il nome di Antonio Rivolta.
Ci è restato circa cinque sei mesi, fino a quando il pericolo di essere consegnato ai Milanesi è passato, “dichiarata l’inimicizia tra la repubblica e il re di Spagna“.
Così il cugino Bortolo lo va a prendere e lo tiene ancora con sé, perché gli vuole bene e perché Renzo nel mentre aveva iniziato a lavorare in una fabbrica dimostrando di essere bravo nel suo lavoro.
Renzo ha più volte manifestato il desiderio di arruolarsi nell’esercito veneto così anche tornare al suo paese, ma Bortolo lo dissuade dal prendere decisioni azzardate. L’epidemia di peste si diffonde anche nel Bergamasco, anche Renzo si ammala ma ha la fortuna di guarire. Una volta fuori pericolo, decide di tornare a Milano per cercare Lucia e scoprire la verità sul voto che Agnese gli ha riferito.
Dopo aver ricevuto la benedizione del cugino Bortolo, Renzo si dirige verso Lecco con l’intenzione di parlare con Agnese per avere maggiori informazioni.
Lungo il percorso incontra solo persone che portano cadaveri alla sepoltura, ma non essendo più suscettibile al contagio può viaggiare senza il rischio di ammalarsi di nuovo.
“I pochi guariti dalla peste erano, in mezzo al resto della popolazione, veramente come una classe privilegiata. Una gran parte dell’altra gente languiva o moriva; e quelli ch’erano stati fin allora illesi dal morbo, ne vivevano in continuo timore; andavan riservati, guardinghi, con passi misurati, con visi sospettosi, con fretta ed esitazione insieme: chè tutto poteva esser contro di loro arme di ferita mortale.”
Renzo arriva al suo paese verso sera. Sebbene sia abituato alla vista sente una stretta al cuore e viene assalito da un ricordi e presentimenti dolorosi. Maggior turbamento lo prova quando sbocca sulla piazzetta della chiesa e poi si incammina vero la casa di Lucia, dove ora spera di trovare Agnese.
Lungo il percorso nota un uomo seduto per terra, in stato confusionale. Avvicinandosi scopre che è Tonio, che colpito dalla peste non lo riconosce, Renzo, dopo aver provato una grande tristezza, si allontana.
Poco dopo incontra anche don Abbondio, col volto pallido e smunto, piuttosto malandato, che sembra essere stato colpito anche lui dalla peste. Il curato gli riferisce che Lucia si trova a Milano, Agnese è viva e si è rifugiata a Pasturo, mentre padre Cristoforoè stato allontanato da Pescarenico. Renzo gli chiede anche, senza fare il nome espressamente, di don Rodrigo ed il curato risponde che non c’è.
Nonostante il curato lo esorti a demordere dai suoi intenti di ricerca, Renzo gli chiede di non tradirlo e prosegue nel suo cammino e arriva a casa sua: attraversa l’orto, camminando tra le erbacce di cui è coperto, come la vigna.
Mette piede sulla soglia di una delle due stanze al pian terreno e vede topi dentro il sudiciume che copre il pavimento, che è ancora il letto dei lanzichenecchi. Dà un’occhiata alle pareti scrostate, imbrattate, affumicate. Ragnatele sul palco e null’altro. Se ne va e si dirige verso la casa dove aveva pensato di fermarsi.
Trova ospitalità presso un vecchio amico d’infanzia, dopo aver saputo da don Abbondio che la sua famiglia è stata sterminata dalla peste. L’amico lo accoglie affettuosamente e durante la cena gli riferisce che Lucia si trova ospite nel casato di don Ferrante e che non deve temere la giustizia, dato che il podestà è morto di peste e i pochi sbirri rimasti hanno altro da fare che cacciare i ricercati come lui.
Il mattino seguente, Renzo parte alla volta di Milano per cercare Lucia. Raggiunge Monza passa davanti ad un fornaio e gli chiede due pani per essere certo di non restarne sprovvisto.
“Verso sera, arriva a Greco, senza saperne il nome“, ma avendo memoria dei luoghi e calcolando il cammino fatto fino a lì da Monza, esce dalla strada maestra in cerca di un cascinale abbandonato dove passare la notte: trova una cascina e vi entra. Non c’è nessuno. Vede un portico con tanto fieno ammontonato ed un scala. Vi sale e lì si addormenta.
La mattina seguente si sveglia presto e riprende il viaggio verso Milano, “prendendo come stella polare il duomo” e dopo un breve cammino sbuca sotto le mura di Milano tra porta Orientale e porta Nuova.
Articolo aggiornato il 9 Aprile 2023 da eccoLecco